Focolaio di contagi nel carcere romano di Rebibbia: ci sono 18 casi

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E’ allarme anche nel mondo del carcere. “Sono 18 i casi di detenuti positivi riscontrati oggi nel carcere di Rebibbia, a Roma, nel reparto G12″. A confermarlo è il responsabile del sindacato Sappe Lazio Maurizio Somma. “Le notizie sono ancora frammentarie – spiega – visto che all’interno della struttura i cellulari sono vietati anche per i miei colleghi. Ma questa dovrebbe essere la situazione”. “Da quello che sappiamo – aggiunge – tra il personale non risulterebbe nessun contagiato. Preoccupazione? Certo, come ogni volta che si verifica un focolaio, anche piccolo. Non è la prima volta che accade e ora verranno prese tutte le precauzioni del caso e, in accordo con la sanità penitenziaria, metteranno in atto il protocollo anti Covid”, conclude.

Contagi importati dal carcere di Sulmona

Ma il Garante minimizza e rassicura. “Dopo lo screening di tutti i presenti, sembra circoscritto il nuovo, piccolo, focolaio Covid che ha coinvolto diciotto persone nella sezione di alta sicurezza a Rebibbia Nuovo complesso”. Lo comunica il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Lazio, Stefano Anastasìa. “Incredibilmente – prosegue Anastasìa – si è trattato di un focolaio di importazione, a seguito del trasferimento a Roma di un gruppo di detenuti dal carcere abruzzese di Sulmona, dove da settimane era in atto un focolaio assai esteso. L’amministrazione penitenziaria deve prestare più attenzione alla gestione di queste emergenze.

Il Garante attacca l’amministrazione penitenziaria

Non si può continuare a chiedere sacrifici ai detenuti, che da quasi un anno non hanno colloqui ordinari, nel numero e nelle modalità, con i familiari. E spesso non possono più andare a scuola o svolgere attività, e poi trasferire detenuti da istituti in cui ci sono focolai senza essere assolutamente certi della loro negatività”. “Quanto accaduto – conclude Anastasìa – rinnova le motivazioni della richiesta dei Garanti dei detenuti, per il riconoscimento della priorità vaccinale dei detenuti e degli operatori penitenziari. Non si tratta di garantire a tutti lo stesso accesso alle vaccinazioni, ma di riconoscere le peculiarità e i rischi della vita in comunità chiuse e sovraffollate, e quindi di programmarvi le vaccinazioni quando saranno completate quelle nelle Rsa”.