Il dramma del covid nelle RSA del Lazio. Anziani soli e sperduti e personale allo stremo

Nella prima ondata era andata peggio ad altre Regioni, come la Lombardia. Ma in questo autunno in cui il covid ha ricominciato a picchiare più forte di prima, anche le RSA del Lazio stanno pagando un prezzo altissimo. In termini di mortalità, perché sono tanti gli anziani ospiti che non ce la fanno. Ma anche rispetto allo stress sopportato da infermieri ed oss, le operatrici e gli operatori socio sanitari. Che con diversi colleghi infetti, sono ormai costretti a turni massacranti. E forse la cosa che fa più paura, più ancora della malattia e della morte è la solitudine. Perché questo maledetto virus oltre a renderci terribilmente fragili ha anche interrotto tutti i nostri rapporti sociali. Così le storie si rincorrono, tra video chiamate in Skype e infermieri che spiegano agli anziani ospiti ammalati come si fa. E che in molti casi, reggono addirittura in mano il telefono. Per permettere un saluto con un figlio, o un familiare. E far distendere la pelle rugosa di quei volti segnati dal tempo in un tenero sorriso.

Il massacro silenzioso degli anziani nelle case di riposo (video)

Gesumino, ospite alla RSA San Luigi Gonzaga a Ladispoli. Mi mancano mio fratello e i pomodori dell’orto

Gesumino ha ‘solo’ 67 anni, ed è tra gli ospiti più giovani della RSA San Luigi Gonzaga di Ladispoli. Fa parte del gruppo che qui con affetto chiamano ‘i ragazzi’, e ha preso il covid tra i primi nella struttura. Adesso finalmente è risultato negativo al tampone, ma ha passato un bruttissimo periodo. Lui che è disabile psichico, e che era abituato alle visite periodiche del fratello. È lui che mi è mancato di più, ha dichiarato Gesumino al messaggero.it. Insieme ai pomodori del mio orto. Perché adesso nessuno li raccoglie. Storie semplici, di vita quotidiana. E per fortuna Gesumino ce l’ha fatta, mentre altri quattro pazienti più anziani sono morti. Attualmente 15 ospiti della residenza sono positivi, mentre altri 15 sono in ‘bolla’. Isolati per aver avuto contatti con altri positivi. E ad essere malati sono anche 13 tra infermieri ed operatrici sanitarie. Altro dato particolare, si calcola che nelle RSA circa il 90% dei contagi arrivi da fuori. Nonostante protocolli rigidissimi. Che però evidentemente non sempre vengono rispettati.

Gli infermieri esausti, ce la mettiamo tutta ma siamo nello tsunami

Noi ce la mettiamo tutta. Ma siamo nel pieno dello tsunami. Questo il racconto di un infermiere ripreso da il messaggero.it. Pensi che nella nostra struttura (il S. Luigi Gonzaga di Ladispoli ndr) facciamo turni anche di 17 ore. Per sopperire al personale che nel frattempo si è ammalato. Nel reparto dei positivi al covid, c’è stata una sola infermiera per 23 pazienti. Alcuni sono anche malati di Altzheimer e vanno in giro dappertutto, è difficile tenerli nelle loro stanze. Ma non molliamo. Stesso tenore nella testimonianza di Catia Santolamazza, 53 anni. Da 22 fisioterapista presso la Villa Sacra Famiglia alla Camilluccia. Ho appena finito di fare 40 videochiamate, una fatica ha dichiarato al Messaggero. Ma è l’unica che ci strappa un sorriso. Vediamo la meraviglia di questi signori di 90 o anche 100 anni quando sul tablet appare la faccia di un figlio o di un nipote. Qui si è piombati nell’incubo una settimana fa, ha continuato Catia. Quando hanno trovato un collega positivo. Così sono scattati i tamponi, e al primo piano 15 pazienti su 40 hanno il covid. Oltre a quattro colleghi. Adesso siamo in attesa dei risultati del secondo piano, ma già sappiamo che anche qui ci saranno dei contagiati. Prima indossavamo le fp1, ha concluso la fisioterapista. Adesso abbiamo cuffia, doppio guanto, fp2 e occhiali protettivi. Ma ovviamente lavorare così è estremamente faticoso. E poi la conclusione, che intenerisce. Eravamo abituati ad avere un rapporto molto fisico con i nostri ospiti. Li abbracciavamo ogni giorno. E oggi quando ci vedono nelle tute, con le visiere, dagli occhi sembrano dirci: abbiamo voglia di abbracci. Perché non è solo la morte che fa paura. Ma spesso è il non vivere che riesce orribile.

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