A via Margutta arriva White King: l’arte incontra il genio
Una mostra per scoprire un artista e il suo modo di comunicare su tela. Personalità e follia, genio e istinto, forza e incisione. White King è tutto questo. E per trasmetterlo e farlo vivere ha scelto la via degli artisti per eccellenza: via Margutta. Qui, il 7 e l’8 ottobre esporrà in una personale allestita a Spazio Margutta la sua arte, il suo modo di fare arte e trasmettere emozioni. E per per la prima volta esporrà la sua ultima opera: “Il Leone“.
Artista eclettico
Un artista eclettico, che non potrebbe mai esser scontato per natura. Riuscire a ricondurre a una precisa modalità estetica il suo lavoro, trovarne un’etichetta, un nome, incasellarlo in una corrente è un’impresa impossibile o quasi. Forse per il naturale eclettismo che lo contraddistingue, forse per la carica dirompente che emanano le sue opere, forse per l’afflato misterico, quasi metafisico, con cui affronta la tela. Questo perché l’intera produzione dell’artista mette in crisi qualsiasi possibilità di sintesi. White King non supera le contraddizioni del proprio gesto creativo, piuttosto le abita trasformando le sue opere in una lotta infinita: senza quiete e senza pace, proprio come il loro autore. Solo nello scontro di colori, di particelle e molecole, di istinto e ragione, l’opera svela un’anima.
Arte da toccare
Non è un caso che i lavori di White King restituiscano un’autentica apologia del tatto: toccare con mano, colare, sporcare, gettare. La mano agisce un attimo prima che la mente le imponga di farlo: l’impulso rappresenta l’input inconscio da cui nascono e germogliano forme, figure e animali. Nelle opere di White King due anime sono in lotta tra di loro: da una parte l’artista istintivo che cavalca l’estasi febbrile dell’istante, che fa dell’impulsività la forza promotrice del suo lavoro; dall’altra l’artista razionale, pittorico, quello che a posteriori analizza, deduce, riflette sull’opera, ne studia i margini e ne insegue forme e concetti. Ma il suo gesto pittorico, alla fine, si rivela irriducibile perché eccede costantemente i limiti della ragione. Le sue sono opere che non si possono dire senza tradirne il senso. Le parole non bastano.
Genio e follia
Il suo genio creativo si genera attraverso diversi stadi di impulso fino a rasentare la follia. E quel punto di non ritorno, quell’ultima colonna, White King la vuole superare. Dopo aver inventato il Pouring Figurativo Spin Art, rintraccia in quelle colate acriliche ancora un margine di ragione e tenta ostinatamente di abbattere quel residuo, anche se questo significa lottare contro se stesso: inseguire un’opera che sia puro impulso, pura, dionisiaca follia. D’altronde le sue mani si muovono come se fossero eterodirette: l’istante creativo è quello estatico per eccellenza, in cui il soggetto perde il controllo e si scopre fuori di sé, abitato dall’Altro.
Opere da vivere
Il destino, con le sue traiettorie paradossali, riprende il suo gioco: quelle forme sono destinate a diventare tali, come se la mano fosse un tramite volto a generare ciò che prima non si poteva vedere ma era fatto per vedersi. Di qui le Opere del Destino e l’Arte Impossibile nella loro forma più autentica. Ci si potrebbe chiedere come White King sia arrivato a questi risultati girando semplicemente il quadro. Queste macchie di colore possiedono una forma e un’anima, che siano messaggi, forme di dialogo, codici segreti che chi ammira i suoi quadri deve saper cogliere. Interpretare. Vivere.
Il pensiero
È in questa speranza che White King lancia un monito: bisogna credere nell’impossibile per realizzarlo, è l’unico modo per non essere schiavi del proprio tempo. Per entrare nel mondo di White King basta visitare la sua personale, in via Margutta il 7 e l’8 ottobre, che regalerà a Roma un nuovo modo di fare arte e unirsi in un connubio unico con lei.