Accoglienza migranti “a gratis” a Roma, ma con una gara da 399 mila euro. Santori: “Per pagare gli amici”

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Soldi pubblici che finiscono nelle casse delle cooperative mentre le famiglie che aprono la porta di casa non ricevono rimborsi. È questa l’accusa che la Lega capitolina lancia nei confronti del Sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Fabrizio Santori, capogruppo leghista in Campidoglio, non ha usato mezzi termini: “Gualtieri paga gli amici”, ha detto, e ha chiesto che il Comune istituisca un albo della solidarietà invece di affidare a terzi la selezione e la gestione dell’accoglienza.

Cosa prevede il bando da 399 mila euro

Il Comune ha pubblicato una procedura per trovare un operatore — cooperative incluse — che per un periodo pluriennale si occupi della gestione dell’accoglienza a domicilio per migranti, reclutando famiglie e fornendo percorsi di inclusione, accompagnamento e inserimento socio-lavorativo. Il compenso complessivo indicato nella gara è di 399.000 euro. La cifra ha scatenato le polemiche perché, spiegano i critici, serve «a pagare chi organizza il sistema», mentre le famiglie che ospitano non avrebbero alcun tipo di rimborso.

Santori: “Sistema per ingrassare gli amici: bastava l’albo”

«Serviva davvero una gara da 399 mila euro per trovare chi faccia quello che i Municipi potrebbero fare con un albo locale?», domanda Santori. «Bastava un registro gestito dai servizi sociali, tipo collocamento. Chi si offre, chi ha bisogno e via. Invece l’amministrazione di Gualtieri preferisce costruire un meccanismo che, alla fine, ingrassa le solite cooperative — gli “amici” — e lascia i cittadini a sopportare i costi». Parole dure e nette, che cavalcano il sospetto più dolente: dietro l’“accoglienza a costo zero” per le famiglie, ci sarebbe il sospetto di un vero e proprio business dell’intermediazione sociale.

Perché il Campidoglio difende la scelta

Da Palazzo Senatorio la versione è più tecnica: coinvolgere operatori specializzati permetterebbe di verificare i requisiti delle famiglie, garantire percorsi di formazione, monitorare la convivenza e fornire strumenti di inclusione per i beneficiari. Secondo l’amministrazione, esternalizzare certe attività — valutazione, mediazione, formazione — può essere più efficace di una gestione puramente interna, specie in presenza di flussi complessi e vincoli organizzativi.

Ma i dubbi restano e sono politici

Il punto cruciale non è solo tecnico ma politico: perché servono 399 mila euro per mettere in piedi un sistema che suona, a prima vista, più di “reclutamento volontario” che di assistenza strutturata? Perché non coinvolgere subito i Municipi, più vicini al territorio? Perché non prevedere incentivi concreti alle famiglie ospitanti, o almeno rimborsi per spese di vitto e utenze, se l’idea è davvero promuovere integrazione e non solo risparmio sui centri? Sono domande legittime che Santori lancia e che l’opposizione farà proprie in aula, puntando sul termine più letale in politica: trasparenza.

Il rischio reputazionale per Gualtieri

Nel quadro politico romano la scelta rischia di essere letta come l’ennesimo esempio di amministrazione che preferisce la formalità (gare, bandi, affidamenti) alla concretezza (servizi diretti, controllo pubblico). E in una città sensibile al tema dell’accoglienza come Roma, l’impatto mediatico è immediato: sui social scatta la polemica, in Municipio si alzano i toni, e Santori ottiene lo spazio che desiderava per trasformare la pratica amministrativa in battaglia politica.

E Gualtieri che farà?

Se l’obiettivo del sindaco Roberto Gualtieri è smorzare il caso e dimostrare buona gestione, basterebbero pochi passi credibili: pubblicare immediatamente i criteri di selezione delle cooperative e rendere trasparenti i costi dettagliati (se qualcosa va alle famiglie, quanto va all’operatore, quante ore di assistenza sono previste), prevedere un monitoraggio pubblico con report trimestrali e, soprattutto, valutare la possibilità di un albo delle famiglie affiancato da incentivi minimi o rimborsi spese. Azioni che risponderebbero al primo sospetto: «si fanno gare per dare soldi a soggetti terzi invece di attivare soluzioni trasparenti e a costo controllato».

Intanto Santori si prende la scena. «Vedremo quanti radical chic apriranno davvero le loro case», scherza amareggiato. Il punto però è serio: non è solo battaglia politica, è la prova del nove di come Roma voglia gestire un tema che tocca la città e i cittadini (integrazione, sicurezza, decoro) e, soprattutto, i soldi dei romani.