Addio a Dagnino: Roma perde un altro pezzo di sé. La storica pasticceria lascia la Galleria Esedra dopo 70 anni

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Per decenni è stata una certezza: entravi nella Galleria Esedra e il profumo dei cannoli siciliani, del babà, delle cassate ti ricordava che potevi trovare a Roma un pezzo di Sicilia, dal 1954. Oggi quella certezza vacilla. La storica Antica Pasticceria Dagnino, a un passo da Piazza della Repubblica, si prepara a lasciare il suo regno: lo storico locale non verrà rinnovato e a fine anno abbasserà le serrande nel punto dove ha fatto storia. E un altro frammento della Roma artigiana rischia di scivolare via, proprio mentre la città prova a difendere ciò che resta delle sue botteghe storiche.

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Settant’anni di tradizione, arte e zucchero

La storia dei Dagnino parte lontano, alla fine dell’Ottocento in Sicilia, e approda a Roma grazie ad Alfredo e Andrea Dagnino, che scelsero la Galleria Esedra come vetrina per la loro pasticceria. E quella scelta fu un colpo d’occhio: un locale unico nel suo genere, incastonato in un passaggio che collega via Vittorio Emanuele Orlando a via Torino, ornato da opere che ancora oggi catturano l’attenzione.

Lì “vivono” gli specchi dipinti da Alfonso Amorelli, con figure femminili sospese tra mito e decorazione. Le sculture lignee di Giovanni Maria Manganelli dedicate alle province siciliane. I pannelli astratti di Herta Schaeffer, che negli anni Cinquanta sembravano proiettare la pasticceria nel futuro. Non a caso, il locale è iscritto da oltre vent’anni nell’albo delle Botteghe Storiche di Roma.

Negli anni Duemila, Dagnino non si è limitato a sfornare dolci: dal 2003 al 2007 ha ospitato “Sottovetro”, un ciclo espositivo che trasformava le vetrine in spazi d’arte contemporanea. Un modo elegante per tenere insieme gusto, tradizione e creatività.

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Una chiusura annunciata: contratto in scadenza e Galleria in declino

Adesso però l’atmosfera è cambiata. Da tempo la Galleria Esedra non è più quella di un tempo: meno negozi, meno vita, meno passaggio. Un luogo che ha perso progressivamente quel ruolo mondano che aveva reso iconica la zona. E ora arriva il colpo finale: il contratto di locazione, in mano alla Finaval -Gruppo Feltrinelli, scade il 31 dicembre e la proprietà ha scelto di rientrare in possesso dell’immobile. Ufficialmente nessuno parla. Ufficiosamente, le voci sono due: volontà di recuperare gli spazi e necessità di rimettere mano a una delle gallerie più importanti della città, da anni in declino. Quindi, dopo sette decenni di attività ininterrotta, Dagnino deve lasciare la sua casa.

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Il trasloco: nuova sede vicino a piazza di Spagna

Una consolazione c’è: la pasticceria non scompare. Le indiscrezioni parlano di una nuova apertura in via di San Basilio, a due passi da piazza di Spagna. Ma chi frequenta il locale da una vita sa benissimo che un luogo così non si ricrea altrove. I cannoli, le arancine, gli affreschi, le tazze di caffè sorseggiate sotto le figure femminili di Amorelli: tutto questo era parte dell’esperienza, non un semplice sfondo.

Chi arriva oggi alla cassa fa sempre la stessa domanda: “Ma è vero che chiudete?”. I fratelli Alessandra, Celeste e Luigi Cola provano a rassicurare, ma solo con i clienti storici si lasciano andare: “La situazione è complicata”. Sono loro ad aver ricevuto l’avviso di sfratto da Finaval Spa, la società immobiliare che gestisce gli immobili della famiglia Feltrinelli. La paura è non solo di perdere un’attività, ma di cancellare un luogo identitario, quello che Giannandrea Dagnino, figlio del fondatore, definisce “l’atmosfera unica che per 70 anni ha reso questo posto un angolo di Sicilia nel cuore di Roma”.

La petizione per salvare il bar

Dagnino, nel suo posto storico, non era solo un bar. Era un pezzo di immaginario romano. Nel 1959 arrivarono i celebri dipinti di Amorelli, le sculture di Manganelli, i pannelli astratti che oggi valgono più di un semplice arredo. Il cinema non è rimasto indifferente a tanta bellezza: Ettore Scola in “La famiglia”, Michele Placido in “Il grande sogno”, Daniele Luchetti in “Lacci” hanno scelto la pasticceria come set. Perché quel posto aveva un linguaggio tutto suo, che parlava di Roma, di gusto, di storia.

E per salvare la pasticceria dallo sfratto è stata lanciata una petizione, che ha superato le 1800 firme. La famiglia Cola chiede un intervento concreto: “Serve l’aiuto dei cittadini, dei clienti, di chi negli anni ha fatto vivere questo spazio”. Il sindaco Roberto Gualtieri, dopo l’approvazione di una mozione in Assemblea Capitolina, è stato invitato ad aprire un tavolo con la proprietà. L’obiettivo è evitare che un luogo con decenni di arte, arredi e memoria venga stravolto o peggio cancellato. Ma la sfida è dura. Però tentare non nuoce. A volte, un cannolo vale più di mille promesse.