Addio a Pino Rigido, una vita per il giornalismo e la Roma. Ci mancherai, uomo libero

Pino Rigido fu il primo collega con cui legai quando entrai al Secolo d’Italia, nel lontano 1988. Lui ci stava già da tempo, e ci sarebbe voluto morire. Purtroppo così non è stato, gli anni sono passati anche per lui e con gli anni la legge spietata della pensione. Mi aiutò, mi consigliò, diventammo amici per sempre. Lui era un po’ più grande, ora aveva passato i 70 da poco. Carattere unico: scorbutico, salace, pungente con tutti, testardo ma con il classico cuore d’oro. Sì, una delle persone più di buon cuore che abbia mai conosciuto. Sotto la sua scorza di tarantino doc si celava una bontà d’animo che spesso sfociava nell’abnegazione. Costretto a una pensione forzosa, non l’aveva mai digerito: come ho detto, avrebbe voluto morire sulla scrivania del giornale.
Veniva al giornale anche quando era di corta
E al giornale ci stava tutti i giorni, anche quando era di corta. La famiglia, sua moglie e i figli Mileto e Joel, non li vedeva quasi mai, ma non perché non li amasse, ma perché si fidava ciecamente della sua compagna di vita. Tranne che d’estate: allora trascorreva con loro le vacanze a Manduria, nella casa avita, dove passava le giornate con la famiglia. Un’estate la trascorse costruendo un tavolo da ping pong con i ragazzi. Per uno strano moto della psiche, poi, non aveva mai voluto prendere la patente dell’auto, e girava in moto, preferibilmente delle Suzuki. E così, la moglie e i figli andavano in macchina in vacanza e lui li raggiungeva con la moto. Era uno stile di vita, diceva lui, quella vita anticonformista che aveva sempre scelto e percorso. Era una delle persone più perbene che abbia mai conosciuto, di quella signorilità di vecchio meridionale che oramai si è persa.

Aderì al Msi da giovanissimo
Aderì al Msi sin da ragazzino, a Taranto, poi si trasferì a Roma giovanissimo, che divenne la sua seconda patria, arrivando sino a diventare tifoso sfegatato della Roma. Non c’era infatti una domenica che mancasse allo stadio. Aveva anche creato un giornale sportivo, Fuoricampo, che curava e redigeva da anni personalmente, dall’impaginazione alla distribuzione. Sì, portava i giornali sulla moto sino all’Olimpico. Una volta, grazie a questo settimanale, mi accreditò alla tribuna stampa in occasione di un Roma-Milan, perché sapeva che ero tifoso rossonero. Mi aspettava lì: arrivai con dieci minuti di ritardo ed entrai in sala stampa proprio nel momento in cui Gullitt segnò il gol della vittoria sulla Roma. Non dimenticherò mai la sua faccia e gli sfottò che ne seguirono per tutta la sera.
Pino si sacrificava per i suoi colleghi
La bontà: in occasione di una chiusura del Secolo, nel 1984, lui che era nel comitato di redazione si fece da parte per consentire ai praticanti, tra cui Buontempo, di essere assunti, e sopportò diversi mesi di disoccupazione prima di essere richiamato. Il sindacalismo attivo fu un’altra delle sue cifre del suo impegno sociale. Si batté sempre per i suoi colleghi in tutte le sedi. La politica: pur non facendo politica attiva, una volta lo vidi con i miei occhi difendere Gianfranco Fini da un’aggressione, e ricorderò sempre il suo smisurato coraggio in quella drammatica circostanza. Non aveva paura di difendere i suoi amici e i suoi diritti, anche quando la situazione avrebbe consigliato di non farlo. Un uomo con la schiena dritta, che mi ha insegnato molto, e non solo dal punto di vista professionale. Addio, uomo libero, ci mancherai.