Allarme lavoro: oltre un terzo degli italiani sta cercando nuove strade

ripresa posti di lavoro

Oltre metà dei lavoratori italiani sta cercando un nuovo lavoro o inizierà a farlo a breve. E’ un esodo silenzioso, ma già reale quello che sta avvenendo nel nostro Paese secondo le rilevazioni del Workmonitor. E’ l’indagine semestrale sul mondo del lavoro, condotta da Randstad in 34 Paesi. Un effetto del fenomeno globale delle dimissioni di massa che coinvolgono l’intero mondo occidentale. Ma è anche l’espressione di un malessere tutto italiano frutto del disallineamento diffuso sui valori di riferimento. Ossia la richiesta di maggiore flessibilità e la frustrazione per il mancato sviluppo professionale. Ciò che porta una larga parte dei dipendenti a ricercare nuovi obiettivi, meditati durante la pandemia. Una trasformazione che riguarda soprattutto i giovani, che oggi dichiarano apertamente di dare priorità alla loro felicità piuttosto che al lavoro.

Molti si sono messi alla ricerca di un nuovo lavoro

Secondo il Randstad workmonitor, il 29% dei lavoratori italiani oggi sta attivamente cercando un nuovo impiego (l’Italia è al terzo posto al mondo in questa classifica). La percentuale arriva al 38% nella fascia tra i 25-34 anni. E un ulteriore 24% di dipendenti sta considerando di mettersi a breve alla ricerca, con un’incidenza più alta tra le fasce giovanili. D’altronde, gli italiani sono in penultima posizione al mondo fra coloro che nell’ultimo anno hanno ricevuto un aumento di stipendio (il 19%). In ultima per distribuzione dei benefit (53%), tra i meno agevolati dalla flessibilità (il 62% non può scegliere quante ore lavorare, il 60% dove e il 50% quando).

Con la pandemia il lavoro ha perso parte del suo significato

Ma le ragioni, nelle risposte dei lavoratori, sono ancora più profonde. Tra perdita del significato profondo del lavoro, richiesta di maggiore formazione e di maggiore impegno nella sostenibilità ambientale e sociale. E così, oggi il 38% lascerebbe il proprio datore di lavoro se non tenesse conto delle sue richieste, percentuale che sale addirittura il 56% tra i giovani di 18-24 anni. “Il Workmonitor –  spiega Marco Ceresa, group ceo di Randstad – rivela un radicale cambiamento di prospettiva tra i lavoratori. Guidato dalle giovani generazioni, che mettono in discussione le tradizionali relazioni con i datori di lavoro. Oltre agli elementi standard come retribuzioni e sicurezza contrattuale, emergono nuove istanze non negoziabili per i dipendenti, che oggi danno importanza alla realizzazione personale.

Cambia in Italia la prospettiva del lavoro

E non hanno paura di mettersi in discussione e rinunciare al lavoro attuale se non soddisfatti. Una grande sfida per le aziende, che in una situazione di carenza di talenti, devono ripensare il loro approccio per attrarre e trattenere il personale”. Tra i diversi aspetti di questa rivoluzione, emerge innanzitutto l’incapacità del lavoro di soddisfare pienamente la realizzazione personale, in particolare tra i giovani. Per due terzi degli italiani (77%) “il lavoro è importante nella vita”, ma meno della metà (49%) lo ritiene realmente in grado di offrire uno scopo. E per il 60% la vita personale e più importante di quella lavorativa. Oltre metà (53%) dichiara addirittura che se i soldi non fossero un problema sceglierebbe di non lavorare affatto.

Meglio disoccupati che infelici sul lavoro

Oltre un terzo dei dipendenti (ben il 36%) ha già abbandonato un lavoro perché non si adattava alla propria vita privata, e la percentuale sale al 51% tra i 18-34 anni. Il 38% degli italiani lascerebbe il lavoro se questo gli impedisse di godersi la vita. Ed è pronto a farlo più di metà dei lavoratori dai 18 fino a 25 anni. Addirittura, il 23% dei dipendenti preferirebbe essere disoccupato che infelice sul lavoro, ma nella fascia 25-34 anni l’incidenza sale al 34%. Un altro elemento fondamentale è la corrispondenza ai valori di riferimento, di fronte al crescente impegno sui temi sociali e ambientali di cui molti si fanno promotori. Il 76% dei dipendenti considera rilevanti i valori del suo datore di lavoro e il 66% li giudica allineati ai propri.

I giovani impegnati per l’ambiente e per il sociale

Addirittura, messo di fronte a una scelta, oltre un terzo (35%) non accetterebbe di lavorare in un’azienda con valori diversi dai propri su società e ambiente. Il 38% non accetterebbe un lavoro se l’azienda non si stesse impegnando nella sostenibilità. Il 31% sarebbe disposto a guadagnare di meno per dare un contributo positivo alla società. E, ancora una volta, è evidente la differenza per i giovani, meno disposti a mettere in discussione i valori in cui credono e più disposti a rinunciare a una quota di stipendio per un lavoro che permetta di realizzare miglioramento sociale.

Fondamentale per i lavoratori la flessibilità

Nell’era del lavoro agile, la flessibilità è migliorata per gli italiani, ma non come dovrebbe. Il 76% dei lavoratori italiani auspica una flessibilità di orario, il 70% di luogo. Ma le aziende la offrono solo nel 50% dei casi per l’orario e nel 40% per il luogo. Il risultato è che il 27% dei lavoratori ha già lasciato un lavoro che non offriva una sufficiente flessibilità (percentuale che sale al 49% tra i 18-24 anni). Il tempo libero è destinato in maggioranza alla famiglia (nel 66% dei casi), poi a prendersi cura di sé (49% fisicamente, 19% salute mentale), coltivare passioni (44%), viaggiare (34%). E poi, pensare al proprio sviluppo personale (24%), socializzare (12%). Poi vengono le attività di welfare familiare (26%) o comunitario (13%).

Nel mondo del lavoro c’è un’insoddisfazione diffusa

Le ambizioni professionali risultano spesso frustrate secondo i dipendenti italiani. Il 70% considera la formazione rilevante, ma solo per il 65% il lavoro attuale offre opportunità di formazione. I bisogni formativi più sentiti sono per consolidare il ruolo attuale (nel 58%). Poi sviluppare di competenze tecniche (53%), la formazione digitale (44%), lo sviluppo delle competenze relazionali (40%). Gli italiani puntano meno alla riqualifica in vista di un nuovo ruolo (39%). Tra le azioni intraprese dai datori di lavoro per rendere felici i dipendenti negli ultimi 12 mesi, solo il 19% ha ricevuto un aumento di stipendio (contro il 36% nella media globale). Solo il 23% ha ricevuto una nuova opportunità di formazione o sviluppo (25% globale), il 22% ha visto un aumento della flessibilità di orario di lavoro (26% globale) e il 26% di luogo (28% globale).