Ardea dà l’ok al colosso delle porte, poi ci ripensa: imprenditore chiede 600mila € al Comune

Ardea dà l’ok al colosso delle porte di Roma sud, ma poi ci ripensa: un imprenditore chiede 600mila € di risarcimento danni al Comune. Un’autorizzazione concessa, dal Municipio rutulo, ma poi ritirata. E infine, una richiesta di risarcimento da oltre mezzo milione di euro chiesto al Comune di Ardea, per la precisione 600mila euro. La vicenda ruota attorno a un laboratorio artigianale per attività di falegnameria, avanzata da un vero e proprio colosso locale nel settore della produzione delle porte, autorizzato nel lontano 2003, con una concessione in sanatoria rilasciata dal Comune per un immobile nei pressi di via Strampelli.
Ma nel 2012, a quasi dieci anni di distanza, la stessa amministrazione comunale di Ardea ha deciso di annullare quel permesso, sostenendo che fosse basato su dichiarazioni non veritiere. Una scelta che ha innescato un contenzioso durato anni, con l’imprenditore che oggi, dopo il silenzio dell’ente a una diffida formale, ha chiesto un risarcimento danni pari a 600mila euro.

I silenzio del Comune di Ardea sul colosso delle porte: per il Tar è ok
Nonostante l’archiviazione del procedimento penale avviato in seguito all’annullamento del permesso, il Comune non ha mai fatto un passo indietro. Anzi, ha mantenuto la revoca del titolo edilizio, mentre nel 2015 rilasciava un certificato di agibilità per lo stesso immobile.
Un paradosso che ha spinto l’imprenditore, assistito dall’avvocato Francesco Falco, a notificare nel 2024 una diffida formale al Comune, invitandolo a revocare l’annullamento e a ripristinare il permesso edilizio. Di fronte all’inerzia dell’amministrazione, il caso è finito al Tar del Lazio. L’obiettivo: far dichiarare illegittimo il silenzio del Comune e ottenere un risarcimento per i danni subiti.
Il ricorso respinto: su Ardea nessun obbligo di risposta
Ma i giudici amministrativi non hanno accolto le richieste del ricorrente. Secondo la sentenza del Tar Lazio, il Comune di Ardea non era obbligato a rispondere alla diffida, trattandosi di un atto di autotutela, ovvero di un potere discrezionale dell’amministrazione che non può essere forzato per via giudiziaria. Il Tribunale ha chiarito che il silenzio dell’ente non equivale a un’omissione illegittima, ma rientra nella facoltà della pubblica amministrazione di non riesaminare un provvedimento già adottato. L’imprenditore, quindi, non poteva pretendere una decisione formale sul suo sollecito.
Niente indennizzo per lo stop al colosso delle porte: il Tar esclude il danno
Non solo. Il Tar ha respinto anche la richiesta di risarcimento da 600mila euro. La domanda è stata giudicata infondata, poiché l’amministrazione non ha commesso alcuna violazione che possa giustificare un risarcimento.
Anzi, i giudici hanno sottolineato come il ricorrente avesse già tentato in passato di impugnare l’annullamento del permesso edilizio, ma quel processo si era chiuso per perenzione, ovvero per mancata prosecuzione da parte sua. Dunque, nessuna nuova valutazione sull’atto amministrativo poteva essere pretesa, pena l’elusione delle regole sui termini per impugnare i provvedimenti pubblici.
Una battaglia persa anche sul fronte economico
A chiudere il capitolo, la condanna alle spese: il Tar ha stabilito che l’imprenditore dovrà rifondere 1.500 euro al Comune di Ardea per le spese legali sostenute nella causa. Una somma modesta rispetto ai 600mila euro chiesti, ma che segna simbolicamente la sconfitta in tribunale. Il caso della falegnameria di Ardea si chiude così, almeno per ora, con un nulla di fatto.
Un progetto industriale mai davvero partito, un ricorso respinto e un’amministrazione che ha difeso la propria discrezionalità, lasciando dietro di sé un altro capitolo di giustizia amministrativa che racconta quanto possa essere tortuoso il rapporto tra cittadini e istituzioni.
