Ardea, dopo 10 anni chiude il noto ristorante privato sulla spiaggia pubblica, il Tribunale: “Privo di concessione”

Ardea, il Lungomare degli Ardeatini dove operava il ristorante, foto Google Maps - www.7colli.it

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Ardea, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha respinto il ricorso presentato dalla società D. s.r.l., proprietaria di un ristorante sul lungomare degli Ardeatini, ordinando la chiusura immediata dell’attività. La decisione mette fine a una controversia durata oltre un decennio e segnata da atti amministrativi, ricorsi e verifiche giudiziarie. Al centro del caso, la presenza del ristorante privato su un tratto di spiaggia demaniale, quindi pubblica. Tratto che secondo i giudici era occupato senza il necessario titolo concessorio. L’ordinanza, emessa dal Comune di Ardea nel gennaio 2022, quindi tre anni e mezzo fa, intimava la sospensione dell’attività di somministrazione, la chiusura della cucina e dei servizi annessi. La società aveva contestato il provvedimento, ritenendolo illegittimo e basato su un’errata ricostruzione dei fatti. Ma, alla fine, la giustizia amministrativa ha confermato una verità semplice e centrale: per occupare il demanio marittimo serve una concessione valida, e in questo caso non c’era.

Il nodo principale: l’assenza della concessione di Ardea

Secondo la sentenza, diventata ora definitiva nel suo effetto amministrativo, l’area su cui sorgeva il ristorante era stata occupata dalla D. s.r.l. senza una concessione demaniale. Già nel 2015 il Comune di Ardea aveva ordinato lo sgombero dell’area, riconoscendo che la società non aveva un titolo legittimo per occuparla. Quell’ordinanza era stata contestata e arrivata fino al Consiglio di Stato, che nel 2016 l’aveva confermata.
Dunque, quando il Comune di Ardea ha ordinato nel 2022 la chiusura del locale, non ha fatto altro che dare esecuzione a una situazione giuridica già definita: le strutture erano su suolo pubblico marittimo senza concessione.
Il tribunale ha ribadito che l’Amministrazione ha l’obbligo di intervenire in presenza di un’occupazione illegittima di suolo demaniale, non potendo scegliere misure alternative più “morbide”: la cessazione dell’attività era l’unico provvedimento coerente con la legge vigente.

La difesa della società e il tema dell’affidamento

La società ricorrente aveva sostenuto che, nel 2012, il Comune di Ardea avesse rilasciato una licenza per l’attività di ristorazione e che su quella autorizzazione essa avesse fondato il proprio legittimo affidamento. Ma per il TAR questo elemento non è sufficiente a dimostrare la regolarità dell’occupazione del suolo.
La licenza commerciale, chiariscono i giudici, non sostituisce la concessione demaniale: sono due titoli distinti e indipendenti. Per esercitare un’attività su suolo marittimo è indispensabile avere la piena disponibilità dei locali, e dunque una concessione valida. La società non poteva ignorare questa circostanza, né invocare un affidamento che si fondasse su un presupposto inesistente.

Il valore pubblico della decisione di Ardea

La sentenza assume rilievo non solo locale, perché tocca un tema centrale nella gestione delle spiagge italiane: la tutela del demanio marittimo come bene collettivo. La vicenda ricorda che la costa non può diventare terra di fatto privata senza un titolo trasparente e verificato. In particolare, ribadisce che le strutture sulla battigia devono essere autorizzate non solo sotto il profilo commerciale, ma soprattutto per quanto riguarda l’uso dell’area pubblica.
In un contesto nazionale in cui si discute ancora della riforma delle concessioni balneari e della tutela del litorale, questa decisione riafferma il principio che la spiaggia è patrimonio della collettività e che qualsiasi utilizzo commerciale deve essere subordinato a controlli rigorosi, trasparenza e regolarità amministrativa.

Una pagina che si chiude, per il lungomare di Ardea

Il TAR conclude respingendo integralmente il ricorso della Dago s.r.l., senza disporre spese, poiché il Comune non si era costituito in giudizio. L’effetto pratico è chiaro: l’attività deve restare chiusa e l’area deve essere sgomberata.
Con questa pronuncia, si chiude una vicenda amministrativa complessa, ma il messaggio resta limpido: laddove il bene pubblico è coinvolto, la legge deve prevalere su ogni forma di ambiguità. La spiaggia, come spazio comune, torna ad essere tutelata in nome dell’interesse generale.