Attentato a Sigfrido Ranucci a Campo Ascolano: caccia all’uomo incappucciato

Sigfrido Ranucci

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Attentato a Sigfrido Ranucci, si cerca l’auto con cui gli autori sono arrivati sotto casa del giornalista, a Campo Ascolano. Una macchina nera, forse una Panda, ripresa in alcuni fotogrammi. L’ordigno lasciato in viale Po, davanti casa del conduttore di Report, poteva fare molti più danni di quelli che ha effettivamente fatto. E ora gli investigato stanno si concentrando per cercare di risalire a quell’auto. E all’uomo incappucciato che alcuni testimoni hanno visto aggirarsi di fronte all’abitazione del giornalista poco prima dello scoppio. È su di lui che si concentrano le indagini dei carabinieri, insieme alla ricerca dell’auto.

L’esplosione, avvenuta alle 22:17, ha distrutto due vetture e danneggiato il muro di cinta. Gli artificieri parlano di circa un chilo di polvere pirica compressa, una quantità in grado di uccidere. Trovare dove si è diretta quella macchina dopo il fatto può significare risalire agli esecutori materiali.

Ranucci nel mirino

Secondo gli inquirenti, Sigfrido Ranucci era seguito da giorni. I carabinieri del Nucleo Investigativo di Frascati e la Digos stanno ricostruendo una serie di movimenti. Appostamenti, alcune piccole esplosioni e colpi d’arma da fuoco sparati in aria in prossimità dell’abitazione nelle settimane precedenti. Residenti della zona hanno riferito di almeno quattro esplosioni tra settembre e ottobre. La tesi degli investigatori è che chi ha agito conoscesse i ritmi e gli spostamenti del giornalista. Sapeva quando sarebbe rientrato e quando sarebbe stato assente e ha atteso il momento giusto per colpire.

Ranucci: “Non credo ai mandanti politici, è qualcuno legato alla criminalità”

Ranucci, tre giorni dopo l’attentato, parla anche a ‘In mezz’ora’, su Rai3, da Monica Maggioni. E ribadisce il suo pensiero. «Chi ha messo l’ordigno ha dimostrato di conoscere le mie abitudini. Penso che si tratti di qualcuno legato alla criminalità. Non credo proprio possa trattarsi di mandanti politici». Ma nella trasmissione Report, ha evidenziato il giornalista, si trattano “tanti interessi e centri di potere”. E questo rende difficile capire chi possa essere stato a colpire. Molte le puntate in arrivo, ma Ranucci non esclude che l’attentato possa essere legato a qualcosa andato in onda in passato. «Le nostre inchieste andranno avanti, continueremo a raccontare quello che succede senza farci intimidire», ha assicurato Ranucci.

Le piste aperte: da ultrà e criminalità locale agli interessi economici

Le ipotesi al vaglio sono molteplici e tutte serie. Ranucci ha ricordato agli inquirenti che le sue inchieste hanno toccato temi spinosi: malavita locale, intrecci tra ultrà e clan, interessi economici legati al porto di Fiumicino, inchieste sulla gestione di stabilimenti balneari e sui business dei rifiuti. Negli anni il giornalista ha ricevuto minacce di matrice diversa, da messaggi inquietanti inviati da detenuti a segnali riconducibili a numeri e ambienti internazionali. Per la Procura, ogni pista va esplorata: dall’ipotesi di gruppi autoctoni esperti in intimidazioni a quella di mandanti con interessi da proteggere.

La Direzione Distrettuale Antimafia ha preso in carico il coordinamento delle indagini, che vedono al lavoro la Digos, i carabinieri e gli specialisti del RIS per l’analisi tecnica dell’ordigno: la “firma” dell’esplosivo potrebbe fornire elementi decisivi. Ranucci stesso non esclude un’ipotesi più inquietante: «Forse non volevano colpire me, ma mandare un messaggio attraverso me». Parole che pesano, mentre la Procura di Roma ricorda che «dai tempi dell’attentato a Maurizio Costanzo non si vedeva una violenza così contro un giornalista».

La solidarietà del quartiere

A poche ore dall’attentato il quartiere si è raccolto: oltre 300 persone si sono radunate sotto casa per esprimere solidarietà. «La scorta di Sigfrido siamo noi», hanno gridato i vicini, i comitati e le associazioni locali. Ranucci è sceso tra loro, ha ringraziato, ha stretto mani e ascoltato volti noti e sconosciuti. «Non sono molti quelli in grado di fare un’operazione del genere», ha commentato riconoscendo la pericolosità del gesto. Ha poi ricordato le vittime del giornalismo d’inchiesta e i colleghi minacciati: «Il giorno in cui sono esplose le nostre auto è lo stesso in cui è morta Daphne Caruana Galizia», ha detto, citando la giornalista maltese uccisa per il suo lavoro.

Il conduttore ha spiegato agli inquirenti di avere individuato «quattro o cinque tracce importanti» che collegano l’attentato ai temi trattati nelle indagini di Report. Ha inoltre confessato la fatica e la paura: le 40 ore concitate tra telefonate, verifiche e incontri con gli investigatori. Ma ha anche sottolineato la volontà di non lasciarsi intimidire: il lavoro continua, la stagione del programma va avanti e «chi lavora facendo domande non si piega davanti alle intimidazioni».

Intanto, nel giardino della casa di Campo Ascolano restano i segni dell’esplosione: i vasi spaccati, l’intonaco saltato, i cassonetti bruciati. Ranucci prova a tornare alla normalità, la moglie Marina parla con i vicini: «E se nostra figlia Michela fosse uscita in quel momento?». Una domanda che pesa più di qualsiasi bomba.