Benedetta Tv – Eurovision 2025: top e flop della semifinale (e l’armonica di Lucio Corsi che ha zittito tutti)

L’Eurovision 2025 ha appena scaldato i motori e già ci regala assurdità, emozioni e colpi di scena che solo questo circo europeo riesce a sfornare con tanta naturalezza. A Basilea è andata in scena la prima semifinale, tra coreografie da sabato sera, lacrime vere e polemiche più o meno sottili.
In finale ci vanno in dieci: Norvegia, Albania, Svezia, Islanda, Paesi Bassi, Polonia, Estonia, Portogallo, Ucraina e… San Marino. Ma l’Italia? Presente ovunque, anche dove non dovrebbe. Perfino con l’Estonia e il suo “Espresso Macchiato”. E qui arriva il cortocircuito.

Gabry Ponte, volto della dance tricolore, canta “Tutta l’Italia” ma lo fa per San Marino. Un inno all’identità nazionale che rappresenta… un altro Stato. Surreale? Sì. Eurovisionesco? Ancora di più.
E poi c’è lui: Lucio Corsi, fuori gara ma nel cuore di tutti. In un’epoca di bpm e fuochi, si presenta con un’assolo di armonica e fa piangere l’Europa intera senza nemmeno gareggiare.
Lucio Corsi aggira il regolamento (con stile)
Immaginate di arrivare a una festa in cui tutti gridano e voi sussurrate. Lucio Corsi ha fatto proprio questo. L’Italia, già in finale come Big Five, non doveva gareggiare. Ma ha deciso comunque di mandare in avanscoperta il suo alfiere cantautorale. E lui, con la sua Volevo essere un duro, ha fatto a pezzi la plastica dell’Eurovision. Con delicatezza.
Tra le immagini che resteranno impresse di questa prima semifinale dell’Eurovision 2025, c’è Corsi che, con assoluta calma, si porta un’armonica alle labbra. Non è una posa, è un gesto consapevole: suonare strumenti dal vivo sul palco dell’Eurovision è vietato. Lo dice chiaramente il regolamento dell’EBU: tutto dev’essere preregistrato, nessun suono può essere prodotto in diretta da strumenti collegati all’impianto.
Ma Lucio non ha infranto le regole. Le ha superate con intelligenza. L’armonica non era collegata a nulla: il suono è stato catturato da un microfono ambientale, come se fosse un sussurro in scena. Perfettamente legale. E perfettamente efficace.
A quel punto, qualcosa cambia nell’aria. In un contesto dominato da basi e coreografie, quell’intervento acustico fragile e fuori formato ha bucato lo schermo. E lo ha fatto senza bisogno di effetti, solo con un gesto semplice, diretto e – paradossalmente – più potente di mille fuochi d’artificio.
Come se non bastasse, dietro di lui scorrevano i sottotitoli del brano in inglese, tradotti con fedeltà poetica. Una mossa inedita, per nulla scontata. E proprio grazie a quei versi proiettati, il pubblico europeo ha potuto cogliere fino in fondo il senso di Volevo essere un duro: un inno dolce e ironico alla libertà di mostrarsi fragili, fuori dagli stereotipi, lontano da ogni posa machista.
Senza urlare, senza barare, Corsi ha lanciato un messaggio chiarissimo. E ha fatto centro.
Standing ovation. Lacrime. Post virali. E la stampa internazionale lo celebra: il Guardian lo definisce “disarmante e necessario”.
Gabry Ponte canta “Tutta l’Italia”… ma in gara per San Marino: genio o parodia?
E qui arriva il colpo di scena più bizzarro della serata. Gabry Ponte, icona dance nostrana, sale sul palco con un brano intitolato “Tutta l’Italia”. Coreografie tricolori, cori da stadio, bandiere, pathos da finale dei Mondiali. E poi scopri che sta rappresentando San Marino.
Sì, proprio così: l’Italia canta se stessa, ma per conto di un altro Paese. Chiamiamolo Eurovisionverse, dove tutto è possibile. Il pubblico studio si scatena, i voti lo portano in finale, ma l’effetto è quello di una bandiera sventolata al contrario.
Il brano? È una macchina da intrattenimento ben oliata: catchy, iperprodotto, visivamente travolgente. Ma a conti fatti, poca sostanza. Tanta scena, poca anima, e un ritornello che ci ronza in testa da febbraio, quando ha cominciato il suo percorso virale. Funziona. Ma lascia poco. E va bene così: non tutte le canzoni devono essere “impegnate”.
Tommy Cash e la provocazione senza freni
E mentre uno canta l’Italia per San Marino e l’altro la rappresenta da casa, ci pensa l’Estonia a rubare la scena. Come? Con Tommy Cash e il suo delirio elettroswing Espresso macchiato. Una sfilza di stereotipi italiani: mafia, spaghetti, Vespa, mandolini e camicie a pois. È kitsch? Sì. È calcolato? Assolutamente.
Il Codacons insorge, chiedendo l’esclusione del brano per “contenuti offensivi”. Lui risponde postando il video di nonne pugliesi che ballano il suo pezzo. Non solo: le invita alla finale. Genio del marketing o provocatore seriale?
In ogni caso, è in finale. Anche se il tormentone, già pompato per mesi in Italia, comincia a mostrare i primi segni di stanchezza. Arriverà vivo fino a sabato?
Tra chi convince e chi no: top e flop della prima semifinale dell’Eurovision 2025
Tra i promossi a pieni voti, spiccano gli islandesi Væb con Róa: ritmi anni ’90 ben sporchi, ma con un tocco celtico nel ritornello che dà carattere. La Polonia convince con Gaja, un brano di goth pop elegante, costruito con cura e accompagnato da una scenografia che sembra uscita dalla Casa Targaryen.
Bene anche l’Ucraina con gli Ziferblat: Bird of Pray è un trip sonoro tutto synth e luci fredde, dal sapore anni ’80, che colpisce per intensità e precisione. E poi c’è Claude per i Paesi Bassi, con la sua C’est la viè: parte come una filastrocca sussurrata, ma sboccia in un ritornello leggero, danzante, ben scritto. Pop fatto bene. Punto.
Sul lato flop, Melody (Spagna) con una Esa Diva da discount radiofonico, e il Belgio, che con Strobe Lights riesce a essere dimenticabile già a metà canzone. Male anche i nostri Mamagama, accusati di essere “i The Kolors dei poveri”. Un pop scolastico, con un cantante che imita Michael Jackson e una struttura da boy band da talent show.
La finale dell’Eurovision 2025 è vicina, ma l’Italia ha già lasciato il segno
Sabato 17 maggio 2025 si accenderanno i riflettori sulla finalissima dell’Eurovision 2025. In gara, 26 nazioni: i Big Five (tra cui l’Italia), la Svizzera ospitante, e i venti selezionati dalle due semifinali.
Ma se c’è una cosa chiara è che l’Italia ha già sparigliato le carte, anche stando ai margini. Da un lato, Gabry Ponte che canta Tutta l’Italia senza portare la bandiera. Dall’altro, Lucio Corsi che, fuori gara, canta il disagio maschile con un’armonica e ci spacca il cuore.
A volte, per vincere davvero, basta sussurrare nel momento giusto.