Benedetta TV – Un professore fa numeri record, ma è ancora se stesso o solo una fiction che funziona?

Benedetta TV Un Professore

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C’è un dato che la Rai può sbandierare senza arrossire: Un professore funziona. Funziona in prima serata su Rai1, funziona in streaming su RaiPlay e circola pure su Netflix. Ma dietro i numeri solidi e le classifiche lusinghiere, resta una domanda che si fa sempre più insistente tra pubblico e addetti ai lavori: che cosa è diventata davvero questa fiction?

Un professore tra ascolti rassicuranti e successo trasversale

La terza stagione di Un professore è ormai agli sgoccioli e si avvia alla conclusione la prossima settimana. La serie di Rai1 con Alessandro Gassmann, adattamento italiano dello scripted format catalano Merlì, ha definitivamente smesso i panni della “semplice versione italiana” per costruirsi una traiettoria autonoma. E fin qui, nulla da eccepire.

Anche quest’ultima stagione conferma la tenuta della fiction del servizio pubblico, capace di adattarsi senza troppi traumi al nuovo ecosistema dello streamcasting, quell’ibrido sempre più inevitabile tra televisione lineare e consumo digitale. I dieci episodi trasmessi il giovedì in prima serata hanno raccolto una media di 3,4 milioni di spettatori, pari al 19,8% di share.

Un dato in lieve calo rispetto alla seconda stagione del 2023, che viaggiava su 3,8 milioni di spettatori medi e il 21,3% di share. Ma sarebbe miope leggere questi numeri senza considerare quanto, nel giro di appena due anni, siano cambiate le abitudini di visione, soprattutto tra il pubblico più giovane. Ed è qui che entra in scena RaiPlay.

RaiPlay salva, rilancia e ringiovanisce Un professore

Tra novembre e dicembre, Un professore è diventato uno dei titoli più forti dello streaming Rai. Gli episodi della terza stagione si sono piazzati stabilmente ai vertici delle classifiche on-demand di RaiPlay, con i primi due episodi in testa tra i contenuti interi più visti sulla piattaforma.

Ai 3,4 milioni di spettatori della messa in onda tradizionale vanno aggiunti circa 770 mila utenti on-demand, pari al 22% del totale. Tradotto: Un professore supera abbondantemente i quattro milioni di ascoltatori complessivi. Altro che calo.

Il trend non si ferma. Anche nei primi giorni di dicembre, gli episodi trasmessi nel mese hanno già superato i 600 mila spettatori medi in modalità Amr-d. Un risultato che racconta meglio di mille convegni quanto lo streaming non sia più un accessorio, ma una colonna portante della serialità Rai.

Il profilo del pubblico è altrettanto interessante: forte presenza femminile (23,4% di share), pubblico adulto e anziano sopra i 55 anni oltre il 20% di share, ma anche una quota giovanile tutt’altro che trascurabile, con il 26% di share tra i 15-24enni. Su RaiPlay, naturalmente, l’età media si abbassa ulteriormente.

Geograficamente, la serie vola soprattutto al Centro e al Sud, con picchi del 27% di share in Campania. Le prime due stagioni, intanto, continuano a circolare su Netflix. Insomma, un altro caso Mare Fuori, che potrebbe spingere la Rai a ragionare seriamente su una finestra anticipata su RaiPlay. Ma il problema non è dove si vede. È che cosa si vede.

Un professore 3 e la filosofia evaporata

Perché mentre gli ascolti tengono, l’identità della serie scricchiola. Un professore era nato nel 2021 con un’idea chiara e riconoscibile: ogni episodio costruito attorno a un pensatore, a un concetto filosofico, a una lezione che diventava lente per leggere le vite di studenti e adulti in crisi.

Un’operazione riuscita, elegante, mai pedante. La filosofia non era un orpello, ma la spina dorsale del racconto. I drammi personali c’erano eccome, ma avevano una direzione, un senso, una chiave di lettura.

Nella terza stagione qualcosa si è rotto. I titoli degli episodi continuano a ostentare nobili riferimenti – Shakespeare, Wittgenstein, Leopardi, San Benedetto – ma troppo spesso restano etichette vuote. La filosofia appare come un pretesto iniziale, buono giusto per il titolo, prima di essere rapidamente accantonata a favore di intrecci sempre più congestionati.

Le scene in classe si assottigliano, le lezioni diventano fugaci, mentre esplodono tradimenti, segreti, bugie, ritorni di fiamma e triangoli amorosi. Un vortice emotivo che strizza l’occhio a dinamiche da soap, più che a una fiction capace di farsi anche racconto culturale.

I riferimenti filosofici non accompagnano più davvero le scelte dei personaggi. Non scavano. Non strutturano. Fanno da sfondo, quando va bene. L’aula perde il suo ruolo di microcosmo universale e diventa un semplice luogo di passaggio. La scuola resta, ma è sempre più decorativa.

Il futuro di Un professore: continuare così o ritrovare il coraggio delle origini?

Un piccolo segnale di controtendenza è arrivato dall’episodio dell’11 dicembre, San Benedetto: ora et labora. La gita a Montecassino, lontana dal caos romano, ha restituito per un attimo quel respiro riflessivo delle prime stagioni. Una pausa, quasi un promemoria di ciò che Un professore era stato. Ma resta un’eccezione.

Ora la terza stagione è agli sgoccioli e si parla già di una possibile quarta. Ma dopo la maturità, quella classe che ha accompagnato il pubblico per tre anni scolastici si scioglierà. Continuare significherebbe ripartire da zero o inseguire i personaggi nella vita adulta. Scelte legittime, certo. Ma con quale identità?

I nuovi ingressi – dal professore di Fisica interpretato da Dario Aita alla nuova preside di Nicole Grimaudo, fino a Thomas e Greta – non hanno ancora trovato un equilibrio narrativo convincente. E mentre i numeri sorridono, resta la sensazione che la serie abbia sacrificato la testa per inseguire la pancia.

La domanda, allora, è semplice e scomoda: Un professore vuole continuare a essere una fiction che prova a far pensare o preferisce diventare un melodramma ben confezionato che funziona ovunque, ma dice sempre meno?

Forse, prima ancora di chiedere ai suoi personaggi quanto costa essere davvero se stessi, la serie dovrebbe porsi la stessa domanda. E decidere se è disposta a pagare il prezzo di scelte narrative più coraggiose per non perdere definitivamente la sua anima.