Capocotta-Ostia, bando per i chioschi, (terza) ‘sberla’ al Campidoglio, il Tar: “Poca Trasparenza, Roma paghi le spese”
Roma, terzo ‘schiaffo’ dei giudici in soli due mesi sui bandi estivi per la ri-assegnazione dei chioschi di Ostia-Capocotta (leggi articolo 1 e articolo 2): Il TAR del Lazio ha annullato quest’oggi 12 dicembre il ‘No’ con cui il Campidoglio aveva negato l’accesso completo alle offerte tecniche presentate nell’ambito del bando estivo sui chioschi comunali di Capocotta (Lotto “E”). Per i giudici, il Campidoglio dovrà mostrare entro 30 giorni le offerte tecniche di S. e del C. G. B., risultati vincitori, alla società quarta classificata. Diverso il caso della capogruppo B.: il Comune di Roma ha dovuto decidere di nuovo, motivando in modo puntuale l’eventuale segreto tecnico e valutando anche accessi parziali. Il Comune di Roma è stato inoltre condannato a pagare 1.500 euro di spese. (PER LEGGERE LA SENTENZA DEI GIUDICI, CLICCA QUI)
Perché Capocotta era diventata un caso di interesse pubblico
Capocotta non era stata solo “mare”: era stata un tratto di litorale a dune, dentro un’area protetta, una Riserva, che confina con la Tenuta del Presidente della Repubblica, in cui ogni scelta su chioschi e servizi aveva inciso su accessibilità, decoro e protezione di un ecosistema fragile. Proprio per questo la trasparenza sulle concessioni e sulle regole di gara non era stata un dettaglio per addetti ai lavori. Era diventata una garanzia per cittadini e territorio, anche per comprendere criteri, punteggi e valutazioni che avevano determinato chi avrebbe gestito spazi e servizi.
Il bando: ricostruzione dei chioschi e concessioni a tempo
La gara finita in Tribunale aveva riguardato la ricostruzione e la successiva gestione di chioschi di proprietà comunale lungo via Litoranea, nel perimetro di Capocotta. Dai dati resi pubblici dal Campidoglio era emersa una struttura chiave: concessioni di 6 anni, rinnovabili una sola volta, con canone annuo a base d’asta di 32.685 euro e indicazioni sulle superfici dei lotti. Nel frattempo, il Comune di Roma aveva comunicato di avere ricevuto un numero rilevante di offerte per i lotti interessati, segno di una competizione molto alta su un’area particolarmente appetibile.
La “guerra” in aula: chi aveva perso aveva chiesto di vedere come avevano vinto gli altri
A portare Roma davanti al TAR era stata C. S.r.l.S., arrivata quarta nel Lotto E. La società aveva chiesto di visionare le offerte tecniche dei tre soggetti meglio piazzati in graduatoria. Il Comune aveva risposto che molti documenti erano disponibili online, ma aveva negato l’accesso alle offerte tecniche richiamando la riservatezza e il “know-how” indicato da un controinteressato. Ed è lì che il TAR era intervenuto: un diniego non aveva potuto reggersi su formule automatiche, ma aveva richiesto una valutazione concreta e motivata.
Cosa era successo dopo (e perché la sentenza aveva contato oltre Capocotta)
La decisione aveva prodotto due effetti immediati: l’accesso garantito per due offerte tecniche e una nuova istruttoria sulla terza. Il messaggio istituzionale era stato chiaro: su beni pubblici e aree sensibili non era bastato invocare la parola “segreto” per chiudere le carte. In un periodo in cui la pressione su gare e procedure competitive era aumentata, la partita della trasparenza era diventata il primo presidio di fiducia pubblica, e anche il terreno su cui si misuravano responsabilità e qualità dell’azione amministrativa.