Centri Sportivi a Roma, regole nuove (con ritardo record), interessi vecchi: il Campidoglio ‘fa fuori’ i Municipi
La promessa era semplice: nel dicembre 2023 il nuovo Regolamento per la gestione degli impianti sportivi a Roma doveva mettere ordine in 120 giorni. Invece la pratica si è arenata e si è «chiusa» soltanto il 18 novembre scorso: 23 mesi dopo. Un ritardo che non è un ritardo qualsiasi. È un ritardo che cambia equilibri e, soprattutto, che lascia per mesi famiglie, associazioni e comitati senza regole chiare.
Il sindaco Roberto Gualtieri e l’assessore allo Sport Alessandro Onorato appaiono ovunque: inaugurazioni, foto, promo della “Roma che riparte“. Sul piano della comunicazione hanno pieno credito. Ma quando si scende dalle passerelle alla partita concreta – quella che riguarda l’accesso agli impianti, le concessioni e i fatti veri – la città scopre che le regole arrivano in ritardo e, quel che è peggio, cambiate rispetto al testo già approvato. E allora viene spontaneo chiedersi: tanto sbattimento per i tagli dei nastri o per regole serie e trasparenti?
La soglia dei 100 posti che sposta potere e interessi
La modifica più evidente dal Campidoglio è tecnica solo in apparenza. Nel testo originario, quello del 2023, il parametro per gli spazi con vocazione nazionale/internazionale era stabilito dalle tribune con 1000 posti. Nel documento del 2025, però, viene introdotta la soglia dei 100 posti come indicatore di ampiezza dell’utenza e di complessità gestionale (richiamando norme di sicurezza del 1996). Il risultato è che il Campidoglio “mette le mani” sulla grande maggioranza degli impianti (Classe A o B), togliendoli dalla gestione dei Municipi. Non è una variazione da poco: cambiano le gare, cambiano i bandi, cambia il “proprietario” delle scelte politiche e amministrative. E il peso del potere decisionale.
Parlare di posti a sedere è solo l’anticamera del vero problema. Cambia la geografia amministrativa dello sport pubblico, cambia chi firma i bandi, chi assegna i finanziamenti e chi detta le condizioni per le partnership pubblico-private. Quando tutto viene spostato verso il Campidoglio, i Municipi perdono voce e i territori perdono controllo. Non è una variazione tecnica: è una scelta politica. E andava spiegata, discussa e motivata alla luce del sole, non decisa come una postilla.
Impianti “fotografati” non per come sono oggi, ma per come potrebbero diventare: il Flaminio su tutti
C’è un altro elemento che stride: alcuni impianti inattivi non sono stati classificati per quello che sono oggi, ma per come potrebbero essere domani, sulla base di progetti ancora solo ipotetici (PNRR, proposte PPP). Così la classe assegnata non fotografa la realtà, ma anticipa scenari futuri. Risultato: l’appeal per investimenti privati sale e la destinazione d’uso quotidiana e sociale rischia di passare in secondo piano. Chi stabilisce se l’interesse pubblico resta prioritario o se prevalgono i grandi progetti immobiliari? La risposta, al momento, è incerta.
Il caso più eclatante è lo stadio Flaminio. Un impianto storicamente inattivo che viene inserito nella lista come se fosse già candidato a una riassegnazione “prima ancora” di avere un progetto definitivo. È come vendere un appartamento sulla base di un rendering. Se la classificazione rende l’impianto più appetibile per investitori, chi tutela l’uso pubblico e la fruizione degli sport di base? Domande che restano senza risposte.
Infine nella lista aggiornata sono sparite alcune strutture che invece figuravano nel 2023. Secondo gli uffici, quei centri non sarebbero “pubblici” e dunque non andavano elencati. Può darsi. Ma se la lista ufficiale è cambiata in quasi due anni – e senza una spiegazione pubblica e convincente – la sensazione è che il controllo politico e la qualità amministrativa abbiano preso una pausa prolungata.
Lo sport fa bene…?
Lo sport fa bene alla salute, ma intorno agli impianti girano interessi concreti: gestioni, concessioni, investimenti. Non sono questioni minori da risolvere con un post su Instagram. Se si spostano competenze al centro senza confronto, se si classificano impianti “per il futuro” e si cambia la soglia dei posti in corsa, il rischio è che lo sport di base perda terreno in favore di grandi operazioni immobiliari e affari ben piazzati.
Roma è pronta per la vetrina. Ma chi usa palestre, piscine e campi sa che servono regole chiare, tempi certi e responsabilità. Su questo, il Campidoglio è arrivato tardi e, quel che è peggio, ha dato l’impressione di farlo con le mani in tasca. E allora la domanda è: questa riclassificazione serve davvero a rilanciare lo sport per i cittadini… o a riclassificare gli impianti per qualcun altro?