A Cesare Battisti fanno schifo i terroristi islamici in galera con lui

Italian ultra-leftist militant Cesare Battisti gestures during an interview with AFP in Cananeia, Sao Paulo state, Brazil on October 20, 2017. The Brazilian government wants to extradite former ultra-leftist militant Cesare Battisti to Italy, but will wait for the supreme court to resolve an habeas corpus filed by its lawyers to prevent it, Brazilian Justice Ministry Torquato Jardim said on October 13, 2017. Battisti was convicted of murder in his home country and has been on the run for decades./ AFP PHOTO / Miguel SCHINCARIOL / TO GO WITH AFP STORY by ROSA SULLEIRO (Photo credit should read MIGUEL SCHINCARIOL/AFP/Getty Images)

Povero Cesare Battisti, costretto a convivere con i terroristi islamici. Certo, dopo 27 anni di latitanza dorata con i governi di mezzo mondo a proteggerne le sorti, è duro il carcere da due anni e mezzo in qua. Non solo: condividere il destino dei jihadisti deve essere terribile…

Lui, così gentile, costretto e ristretto nel carcere di Rossano Calabro, nel reparto di Alta Sicurezza, non ci può proprio stare. E siccome non gli hanno accolto la domandina di trasferimento, Cesare Battisti ha cominciato lo sciopero della fame.

Cesare Battisti in sciopero della fame

La tracotanza di un terrorista spietato come lui è davvero incredibile. Ha seminato lutti nel nostro Paese, si è beffato della giustizia italiana per decenni, e ora che è stato finalmente acciuffato vorrebbe decidere da solo come scontare la pena in carcere. Non ci sono parole.

È dal 2 giugno che si è messo in sciopero della fame.  Protesta  contro le condizioni detentive alle quali è sottoposto, forse pensava di dover essere recluso in un hotel a 5 stelle. Vuole scegliersi i compagni di prigionia come se comandasse ancora nei nuclei armati proletari per il comunismo.

Ma non è così. Deve espiare la sua pena proporzionata ai gravissimi reati per i quali è stato condannato. Vuole spacciare per vendetta – nell’ennesimo gesto teatrale della sua vita – quella che si chiama giustizia.

I “valori” a cui non vuole rinunciare il terrorista rosso

È arrivato a scrivere queste parole per motivare la sua scelta di non fermarsi: “Sarebbe così tradire i valori di un passato  in cui ho creduto, fino alla deriva armata. Non mi sono mai sentito un criminale allora, né mi sento di esserlo oggi pur nella consapevolezza di aver sbagliato. Seguivo, come tanti altri, dei valori fondamentali di diritto per la persona,  non posso permettermi di tradirli sulla linea di arrivo“.

Li chiama “valori”. E chi fa da spettatore dovrebbe quasi dolersi della sua condizione. Lui ha ammazzato come cani le sue vittime e alla fine i colpevoli siamo noi.