Chiudono sempre più negozi, 52mila dal 2019. Ma il problema è che non ne aprono abbastanza

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I negozi continuano a diminuire. In confronto al 2019, a fine 2023 si conteranno oltre 52mila imprese del commercio in meno, per un declino complessivo del -7%. Un’accelerazione del processo di desertificazione su cui incide la doppia crisi vissuta dal comparto che, dopo lo stop imposto dalla pandemia, ha visto interrompersi la ripresa a causa degli effetti di inflazione e caro-energia, che hanno eroso la capacità di spesa delle famiglie. Negli ultimi due anni, il potere d’acquisto degli italiani è infatti calato di 14,7 miliardi di euro, oltre 540 euro in meno per nucleo familiare. Un crollo che pesa sul tessuto dei negozi di vicinato più della concorrenza dell’online. È quanto emerge da “Il Commercio oggi e domani”, lo studio sul futuro della distribuzione commerciale condotto da Confesercenti e Ipsos.

Analisi Confesercenti e Ipsos sulle modalità di acquisti

Confesercenti e Ipsos hanno condotto un’indagine intergenerazionale su mille consumatori di tutte le età, dai Baby Boomer alla Generazione Z, per vagliare la preferenza per il canale d’acquisto online e offline. Dalle risposte degli intervistati, emerge un quadro più favorevole per il retail tradizionale di quanto generalmente si ritenga. Nonostante la progressiva affermazione dell’eCommerce, i negozi fisici continuano ad essere ancora il canale d’acquisto preferito per sei delle nove categorie merceologiche prese in esame. L’insieme di chi ha acquistato nell’ultimo anno esclusivamente, prevalentemente o qualche volta online è maggioritario, infatti, solo nel comparto “viaggi e vacanze” (dove raggiunge il 72%), elettronica e prodotti tecnologici (62%) e moda (52%).

I negozi fisici resistono alla minaccia dell’e-commerce

La quota di clienti che, nello stesso periodo, ha comprato solo, prevalentemente o qualche volta nei negozi fisici, invece, è maggioritaria per tutte le altre sei tipologie: articoli e abbigliamento sportivo (54%), cosmetica, profumeria e cura del corpo (58%), arredamento e complementi d’arredo (69%), cibo e bevande d’asporto (69%), prodotti per la pulizia della casa (77%) e alimentari (82%). Non sorprendentemente, i Baby Boomers costituiscono la fascia d’età più votata agli acquisti offline, mentre le generazioni Y e Z sono più orientate all’online. Ma mentre la preferenza per l’eCommerce è particolarmente spiccata per la generazione Y, formata dai nati tra il 1981 e il 1996, la successiva generazione Z sembra tornare a valutare positivamente l’esperienza dello shopping nei negozi fisici.

Diminuiscono però gli acquisti in generale

I cosiddetti Zoomers, infatti, pur se più online della generazione X e dei Baby Boomers, superano la propensione media all’acquisto in rete solo per alimentari e prodotti per la pulizia di casa, cibo e bevande d’asporto, cosmetica ed elettronica. Ma se il rischio posto dal commercio online – peraltro usato sempre di più anche nel commercio vicinato – appare dunque ridimensionato, lo stesso non si può dire per lo stato di incertezza creato dalla frenata dei consumi. A diminuire rispetto al 2019, in numeri assoluti, sono soprattutto i negozi di moda (-8.553 unità rispetto al 2019, con un calo del -6,3%), anche se le riduzioni percentuali più elevate vengono registrate da Giornali e articoli di cartoleria (-13,5%, per 3.963 imprese in meno).

Tengono bene i negozi specializzati

In forte contrazione anche le imprese attive nella vendita di pane e torte, (-6,1%, per 679 attività in meno) e di carni (-5,7%, -1.663 imprese). Più contenuta la perdita per le librerie (-2%, o -112 imprese). Non tutti i comparti merceologici, però, vanno male. È il caso delle imprese specializzate nella vendita di frutta e verdura, che rispetto all’ultimo anno prima della pandemia crescono del 2%, per un totale di 432 imprese in più. Bene anche i negozi specializzati in Pesci, crostacei e molluschi (+107 attività, per una variazione positiva del +1,2%) e quelli della distribuzione bevande, che aumentano di 291 attività sul 2019, con una crescita del +4,5% rispetto al periodo precedente alla pandemia.

Preoccupa la mancanza di nuove aperture di negozi

Più che le chiusure di negozi, il problema è la mancanza di nuove aperture. Una dinamica evidente dai dati sulla natalità e mortalità delle imprese: nel 2022 sono nate solo 22.608 nuove attività, il 20,3% in meno del 2021. Un numero del tutto insufficiente a compensare le oltre 43mila imprese che hanno abbassato per sempre la saracinesca, e che fa chiudere l’anno con un bilancio negativo per oltre 20mila unità, per una media di oltre due negozi spariti ogni ora. E nel 2023 la situazione non migliora: nei primi tre mesi dell’anno le nuove aperture sono ancora il 18% inferiori a quelle registrate nello stesso periodo del 2019.