Cinquant’anni fa lo scioglimento di Ordine Nuovo: oggi sembra davvero un “processo alle idee”

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Il 23 novembre 1973, dopo un processo per Ricostituzione del Partito Nazionale Fascista iniziato nel 1971 contro i dirigenti del Movimento Politico Ordine Nuovo, il ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani decretava lo scioglimento e la confisca dei beni del Movimento. La legge Scelba del 1952, con la quale i magistrati condannarono a varie pene i dirigenti, sancisce che uno dei presupposti per le condanne deve essere l’uso della violenza quale metodo di lotta politica (in riferimento allo squadrismo dei primi moti fascisti). Ma già allora ci fu chi disse che si trattava di un processo politico.

Insospettisce che nessun gruppo violento di sinistra fu mai sciolto

Ora, qualcuno, se si prendesse la briga, a cinquanta anni di distanza, di consultare i giornali dal novembre 1969, mese della fondazione di Ordine Nuovo nella versione di movimento extraparlamentare, sino appunto alla data del suo scioglimento, non troverebbe traccia di nessuna violenza. E questo in anni in cui, viceversa, le pagine dei giornali erano piene articoli e immagini sulla sinistra extraparlamentare (dal Movimento Studentesco a Potere Operaio, da Lotta Continua a Avanguardia Operaia) che metteva a ferro e fuoco le città, devastando macchine, vetrine, gettando bottiglie molotov, scontrandosi con la polizia, aggredendo e in alcuni casi uccidendo avversari politici.

Il documento di Clemente Graziani

Ma i giudici per comprendere se il Movimento Politico Ordine Nuovo rappresentasse o meno un tentativo di ricostituire il Partito Fascista poterono avvalersi di un documento difensivo, redatto da Clemente Graziani, intitolato «Processo a Ordine nuovo. Processo alle idee», manifesto del Mpon. Infatti, il massimo dirigente ordinovista rifiutò di essere interrogato, richiamando alla sua memoria; ciò che fecero anche gli altri maggiori imputati. Graziani precisava che, quantunque il documento potesse risultare controproducente per la posizione processuale del movimento, egli si curava non del Tribunale, ma della Storia: per questo presentava e diffondeva il memoriale per documentare come fosse in atto in un processo persecutorio, un processo alle idee.

Il ricordo del ministro Taviani

Il ministro Taviani successivamente racconta cosa avvenne in quei giorni: “Sabato 20 ottobre 1973 venne a visitarmi al Viminale il magistrato Occorsio; mi disse: “II processo su Ordine Nuovo sta per concludersi con il riconoscimento che Ordine Nuovo è la ricostituzione del Partito Fascista. Non finirà ancora una volta nel nulla?”. Gli risposi negativamente; da quando ero rientrato al ministero nel luglio 1973 mi ero reso conto della pericolosità dei gruppi di estrema destra, ormai sconfessati dallo stesso Movimento Sociale”. Il 21 novembre 1973 il Tribunale di Roma emise la sentenza che riconosceva in Ordine Nuovo la riorganizzazione del disciolto Partito Fascista.

Moro e Rumor non erano convinti del provvedimento

Racconta ancora Taviani: “La sera si teneva il Consiglio dei Ministri: mi recai a Palazzo Chigi con un’ora di anticipo, entrai da Rumor, presidente del Consiglio, e gli proposi il decreto di scioglimento di Ordine Nuovo. Rumor rimase perplesso; Piga, capo di Gabinetto, era nettamente contrario. Arrivò Moro, ministro degli Esteri, nello studio di Rumor: inopinatamente Moro si mostrò contrario alla mia proposta. La sua contrarietà a porre fuori legge Ordine Nuovo derivava dal fatto che egli temeva che il provvedimento avesse l’effetto di aggravare la tensione.

Taviani convinto che la destra fosse più pericolosa della sinistra

Io ritenevo invece che, senza un segno preciso dell’Esecutivo, i servizi e gli organi periferici avrebbero continuato a vedere tutti i pericoli solo a sinistra, senza prendere sufficientemente sul serio il pericolo dell’estrema destra. Rumor si convinse, portai il decreto in Consiglio dei Ministri, dove proposi di autorizzarmi a porre fuori legge il movimento di Ordine Nuovo, dichiarato con sentenza di primo grado della magistratura ricostituzione di Partito Fascista. Il Consiglio approvò all’unanimità. Al termine il ministro Malfatti mi chiese se si trattava di atto dovuto. Gli risposi di no, perché l’atto dovuto si sarebbe avuto soltanto con l’ultimo passaggio alla Corte di Cassazione. Fu un atto politico. Tornai al Viminale e firmai in data 23 novembre il decreto”.

Ci fu che disse che si trattava di un tentativo di screditare tutta la destra

Ci fu quindi un tentativo, svelato poi da Taviani a Pietro Buscaroli in un’intervista mai smentita, che era alla fine quello di screditare tutta la destra, col fine di recuperare i due milioni di voti del Msi che servivano urgentemente ad una Democrazia Cristiana con l’acqua alla gola di fronte all’avanzata del Pci. Lo scioglimento di Ordine Nuovo, quindi, fu il primo passo di una strategia che andava ben oltre la chiusura di un movimento extraparlamentare.

Allora di tese a equiparare tutti gli estremismi senza distinzioni

Ancora oggi l’aggettivo “ordinovista” e la definizione “cellule ordinoviste” vengono usati da tanti giornalisti, storici e magistrati per definire qualsiasi gruppetto neofascista degli anni Settanta. Avere una sigla che tutto comprende fa molto comodo a ogni tipo di ricostruzione o di inchiesta. Però è come se si definissero “brigatisti” tutti i componenti dei gruppi armati di sinistra. Una falsità e un’imprecisione che, passati cinquanta anni dallo scioglimento, andrebbero corretti. Anche perché gli anni di piombo iniziarono nonostante lo scioglimento di Ordine Nuovo.