Congo maledetto per gli italiani: dalla strage di Kindu alla tragedia di queste ore

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La strage in Congo dimostra quanto la questione africana non sia mai stata affrontata dall’Occidente in modo intelligente. Un ambasciatore, un carabiniere e il loro autista massacrati, e nonm sio sa da chi. Tutsi, hutu, o persino l’Isis. Non si sa, non si capisce, né si sanno i motivi. Il cordoglio nazionale e internazionale è fortissimo, ma si dimentica sempre che l’Africa non è l’Europa, e che non perdona. Non va affrontata in jeans e scarpe da ginnastica, muniti solo dalla voglia generica di fare del bene, come superficialmente fanno le organizzazioni di volontariato, che spesso ci hanno messo nei guai. E ora chi ci è andato di mezzo sono due servitori dello Stato italiani. Uno di loro, il carabiniere, era di Sonnino, in provincia di Latina. Aveva 30 anni. Si chiamava Vittorio Iacovacci.

Il carabiniere morto in Congo era di Sonnino

Parenti, amici, semplici conoscenti hanno iniziato a muoversi verso la villa dei genitori di Vittorio Iacovacci, il carabiniere scelto morto in Congo nel tentativo di proteggere l’ambasciatore italiano in un attentato. “Un bravo ragazzo, lo abbiamo visto l’ultima volta quattro mesi fa” dicono gli zii ai giornalisti assiepati in strada. “Gli avevamo abbiamo costruito casa, chi ci va adesso?”. Riescono a malapena a dire questo, all’Adnkronos, due uomini appena usciti dall’abitazione della famiglia di Vittorio Iacovacci a Sonnino in provincia di Latina. “Un bravissimo ragazzo” dicono prima di salire sul furgone, ancora in abiti da lavoro.

Il ricordo di parenti e amici

“L’ultima volta che ho visto Vittorio è stato 6 mesi fa, quando è partito. La missione era finita e tra pochi giorni sarebbe tornato. Qui tutti lo aspettavamo con impazienza”. Lo racconta Angelo, zio di Vittorio Iacovacci. L’anziano, seduto su un muretto all’ingresso della villa della vittima, a Sonnino, ricorda come il nipote avesse messo in conto i pericoli del suo lavoro ma di come fosse restio a parlarne. “Preferiva non soffermarsi su quello che faceva – continua – era un ragazzo modesto, tranquillo, per bene. Si era costruito la casa qui, accanto a quella dei genitori, per viverci insieme alla sua fidanzata. Aveva 30 anni, aveva solo 30 anni”.

Il Congo da Kindu a Goma

Il Congo si conferma maledetto per gli italiani. Dall’eccidio di Kindu, nel novembre 1961, in cui furono massacrati tredici nostri aviatori in forza alle Nazioni Unite dalle bande congolesi. Le truppe malesi dell’Onu non ebbero la forza o il coraggio di impedire la strage, così la soldataglia congolese catturò, imprigionò e poi sterminò i nostri aviatori inermi, scambiati forse per mercenari belgi. I poveri resti dei nostri connazionali furono ritrovati in modo avventuroso in una fossa comune l’anno dopo e rimpatriati su di un c-130 americano. Chi oggi si stupisce per quello che è successo, è perché non conosce le realtà africane né il modo per agire in quel continente, che oggi sembra sempre più perduto.