Dall’albero alla caldaia, Roma regala la legna: chi guadagna davvero dalle potature?
A Roma gli alberi finiscono nelle caldaie e qualcuno ci guadagna. Quello che fino a ieri poteva essere una chiacchiera di corridoio oggi sembra essere diventato una realtà. Norme e appalti renderebbero conveniente trasformare sfalci, potature e persino tronchi in biomassa energetica. Ma a che prezzo? A pagare il conto non sono solo gli alberi: è il paesaggio urbano, la qualità dell’aria e il poco buon senso rimasto nella gestione del verde pubblico.
Un meccanismo che incentiva lo sfruttamento del verde urbano
Il decreto del 19 giugno 2024 ha ridefinito gli incentivi per impianti rinnovabili “innovativi”, includendo categorie di biomasse che finiscono per rendere appetibile qualsiasi materiale ligneo prodotto dalla manutenzione del verde. Il risultato è questo paradosso: norme pensate per favorire le rinnovabili offrono oggi un bonus economico a chi porta legname urbano agli impianti.
Il MASE, con la circolare del 3 marzo 2025, ha dato istruzioni operative sulla gestione di sfalci e potature alla luce delle modifiche normative. Ma le indicazioni non cancellano il problema politico ed economico di fondo: restano spazi normativi che possono essere interpretati in modo da favorire il mercato della biomassa più della tutela del verde cittadino. In pratica, una circolare tecnica non annulla un incentivo economico potente.
Cosa succede a Roma
A Roma, grazie a questa normativa, molti alberi starebbero letteralmente andando in fumo come biomassa energetica. Insieme a Marco Doria, ex presidente dei Parchi e Ville Storiche di Roma Capitale e oggi direttore del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Natura all’Università Sapienza, abbiamo analizzato l’appalto per la manutenzione del verde pubblico.
“Roma assegna gratuitamente alle ditte appaltatrici i residui vegetali: erba, rami e tronchi”, dichiara Doria. “Significa che più le ditte appaltatrici tagliano alberi, più hanno legna. Fra le destinazioni dei residui vegetali, le stesse ditte indicano aziende che trattano legname come biomassa energetica. Inoltre, le ditte appaltatrici della manutenzione del verde pubblico sono tenute a segnalare al Comune gli alberi instabili e dunque pericolosi: il loro destino di solito è l’abbattimento. Però non sono obbligate a effettuare test strumentali sugli alberi instabili. Se anche li effettuano, non sono obbligate a comunicarne i risultati. Anche se Roma regala loro la legna, si può dubitare che le ditte appaltatrici la regalino a loro volta”.
Cosa va cambiato?
La Capitale rischia di trasformare i suoi viali i suoi parchi in un serbatoio di biomassa. Per evitarlo servono regole chiare: vincolare a principio la provenienza dei residui al Comune, imporre l’obbligo di tracciabilità e la pubblicazione delle destinazioni finali per ogni lotto di materiali, rivedere i capitolati di appalto per privilegiare il reimpiego e il compostaggio a chilometro zero e inserire criteri di tutela arborea che non siano monetizzabili. Non bastano le circolari tecniche: servono regole contrattuali che impediscano il conflitto d’interesse tra manutenzione e mercato della biomassa.
È legittimo incentivare fonti rinnovabili. Non è legittimo farlo trasformando i giardini pubblici o le strade di Roma in depositi di legna da bruciare. Roma ha bisogno di alberi vivi, non di un flusso continuo di legname che alimenta caldaie incentivate a spese della città. Se teniamo davvero alla qualità dell’aria, alla resilienza urbana e al decoro delle strade, è ora di cambiare appalti, riconsiderare incentivi e mettere sotto controllo ogni ramo che va via dalle potature. Perché il verde urbano non è materia prima: è la città stessa.