“Eia, eia, baccalà!” Jacovitti dissacrava tutto nei suoi fumetti. Il Maxxi presenta un libro su di lui

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Cento anni fa, il 9 marzo del 1923, nasceva a Termoli Benito Jacovitti. Nome di battesimo scelto dal padre, Michele, che era un avanguardista della prima ora. A cento anni dalla nascita il MAXXI festeggia il celebre e geniale fumettista con la presentazione del libro 100 anni con Jacovitti, oggi, alle 18. Il libro (Balloon’s Art) ripercorre la vita e e carriera dell’artista, offrendone un ritratto intenso, impreziosito da una rara e inedita documentazione fotografica e dalla prefazione di Vincenzo Mollica. Introdotti da Alessandro Giuli, presidente Fondazione MAXXI, intervengono gli autori del volume Stefano Milioni, giornalista e scrittore, e Edgardo Colabelli, fondatore dello Jacovitti Club e della Casa Museo Benito Jacovitti; il fumettista Luca Salvagno, suo “erede artistico” e Simone Cristicchi, cantautore appassionato di fumetto e suo ex allievo.

Una mostra in autunno su di lui al Maxxi

Il prossimo autunno Jacovitti e i suoi personaggi saranno protagonisti, sempre al MAXXI, di una mostra antologica che si inserisce in quel filone di ricerca dedicato al fumetto avviato nel 2018 con la personale di Zerocalcare e, nel 2019, quella di Altan.

Jacovitti fu sempre fieramente anticomunista

Jacovitti diceva di se stesso che era un matto, un anarcoide, e comunque un eterno frainteso. Benito Jacovitti, scomparso nel 1997, certo il maestro dei fumettisti italiani, rivoluzionò un modo di fare satira con le vignette. Lui non voleva far sghignazzare, voleva proprio far ridere, con il disegno più che con la battuta. Gli dettero più volte del fascista, a causa del suo nome di battesimo. Lo stesso Togliatti gli lanciò un anatema addirittura alla Camera, apostrofandolo “nemico del popolo” perché partecipò alla campagna contro il Fronte popolare. Non solo, ma Togliatti non lo seppe: Jacovitti (il cui cognome era Iacovitti) disegnò anche un manifesto per Arturo Michelini, segretario del Movimento Sociale Italiano, per la campagna elettorale. Ma non si fece pagare, mentre dalla Democrazia Cristiana sì (“Loro i soldi ce li avevano, eh, eh, eh”).