Esce “Maktub”, libro fotografico sulla figura del mercenario (video)

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E’ uscito per i tipi della Ritter Maktub – Congo Yemen 1965/1969, di Robert Muller e Ippolito Edmondo Ferrario. Si tratta sostanzialmente di un libro fotografico, che ripercorre le vicende lontane dell’epoca dei mercenari europei, ma non solo, che si andarono a gettare nell’inferno del Congo in quel decennio. E’ un’epoca interessantissima, che vide centinaia, forse migliaia, di giovani europei partire per l’Africa per andare a combattere.

Il ruolo del mercenario nell’inferno africano

Anche italiani, certo, ma soprattutto francesi, belgi, tedeschi, svizzeri, e poi sudafricani e rhodesiani. La vicenda va inquadrata in quel particolarissimo contesto storico. All’inizio degli anni Sessanta c’era stata una furia decolonizzatrice, che avvenne per la verità in modo troppo affrettato, come dimostra la storia. Oggi l’Africa sta senza dubbio peggio di prima: guerre civili, odi tribali inestinguibili, epidemie, malattie, crisi economica, fame autentica. L’autodeterminazione dei popoli, sognata e vagheggiata dopo la guerra mondiale, non ha portato il continente al decollo sperato né alla libertà.

Un milanese nella rivolta del Katanga

Maktub vuol dire “così è scritto”, è una frase araba che ben descrive il fatalismo di questi popoli. Sulla figura del mercenario sono stati scritti decine di libri, anche dai protagonisti, come in questo caso. Robert Muller era infatti un giovane che abitava a Milano e frequentava la gioventù del luogo, tra bar e strade affollate. Insieme a un suo amico, gli venne l’idea di arruolarsi tra i mercenari che andavano in Congo, che da poco aveva conquistato l’indipendenza dal Belgio, e lo fece. Difficile dire perché una parte di quella gioventù decise di compiere un atto così estremo. All’apoca c’era il mito della Legione Straniera, del Tercio, e poi non dimentichiamo che la guerra era finita da pochi anni.

Ex militari di tutta Europa andarono a combattere in Congo

C’erano professionisti, dell’esercito tedesco, o francese, che sapevano combattere e volevano combattere, e che non trovarono di meglio che continuare l’avventura in terra d’Africa. Era un modo per vivere, per fare quello che sapevano fare e anche per portare avanti un’ideale, fosse solo quello dello spirito d’avventura, del colonialismo, o del semplice anticomunismo. La storia poi si intreccia con la guerra del Vietnam, con quella d’Algeria, e soprattutto con la storia del paracadutismo. Sì, perché molti di questi volontari avevano il mito del paracadutismo, visto come atto estremo di coraggio e di ribellione verso una società nella quale non si trovavano a proprio agio.

Il basco rosso, simbolo del mercenario

Tanto è vero che alla fine l’elemento distintivo dei mercenari fu proprio il basco rosso dei paracadutisti. A questi ragazzi non importava chi li pagava e perché. Volevano solo continuare l’avventura, e lo fecero. Va detto che quelli contro cui combattevano si rivelarono, negli anni, spietati e avidi dittatori, come la storia recente ha dimostrato. La loro cifra, quella dei mercanari, è stata immortalata dalla canzone di Pingitore Il mercenario di Lucera, e ben descrive l’indole di questi ragazzi. Tra l’altro, il mercenario di Lucera è una persona realmente esistita, che combatté con i fedelissimi di Mosè Ciombè ai tempi della rivolta del Katanga contro i mercenari cubani e sovietici.

Nel libro troviamo i riferimenti storici riguardanti esponenti politici locali, come Patrice Lumumba e la sua drammatica morte. Troviamo riferimenti alle atrocità inenarrabili compiute dai Simba verso i coloni e verso i loro stessi compatrioti, troviamo gli atti di eroismo compiuti dai mercenari per salvare i belgi e i religiosi: loro davvero salvarono monache e frati dal rogo del ribelle… Ma il Vaticano se ne fregò…