Finanzieri e Soprintendenza sott’acqua nel lago di Bolsena per preservare la “palafitta”

A circa cinque metri di profondità, nel lago di Bolsena, si sta lavorando per mettere in sicurezza e salvaguardare uno dei contesti abitativi della prima età del Ferro maggiormente conservati nell’Italia medio-tirrenica. Presso il sito protostorico del Gran Carro, dal 16 al 23 luglio hanno operato i sommozzatori della stazione navale della Guardia di finanza di Civitavecchia, a supporto delle attività della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Provincia di Viterbo e per l’Etruria meridionale diretta dall’ Arch. Margherita Eichberg.

Il ritrovamento

In particolare lo scavo stratigrafico condotto assieme ai restauratori subacquei del Restauro beni culturali (Csr), e l’ausilio dei volontari del Cras, sta dando risultati sorprendenti per l’interpretazione dell’intero complesso. L’insediamento del Gran Carro, noto dal 1959, si contraddistingue per la presenza di un’area abitativa, la cosiddetta “palafitta”, per la presenza di più di 500 pali perfettamente conservati e infissi sul fondale inquadrabile principalmente tra la fine del X e il IX sec. a.C. nell’ambito della cultura villanoviana, e l’area solo recentemente interpretata come luogo di culto della “Aiola”, un immenso tumulo di pietrame che conserva tracce di antichi rituali al di sotto delle pietre, forse già a partire dall’età del Bronzo medio.

Le ricerche

Con la nuova campagna di ricerche si stanno finalmente raccogliendo preziose informazioni circa la vita di una comunità di 3000 anni fa, avendo concentrato per la prima volta le operazioni su una area molto estesa nella zona della “palafitta”. Moltissimi gli oggetti in bronzo recuperati tra cui alcuni attrezzi da lavoro come scalpelli, asce e raspe per la lavorazione del legno. Numerosi anche i vasi di impasto rimasti sotto le macerie delle capanne spesso andate a fuoco, alcuni finemente decorati. L’intervento svolto dai sommozzatori della Stazione Navale a supporto degli archeologi ha dissuaso e evitato la sottrazione di preziosi reperti, spesso depredati da soggetti non autorizzati, che ricavano ingenti profitti dalla vendita illegale a collezionisti senza scrupoli in un momento in cui i reperti erano certamente più a rischio durante le operazioni di scavo.

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