Fiumicino, 11 famiglie rischiano lo sfratto: Tribunale boccia il Comune sul Piano edile ‘economico’

Colpo di scena a Fiumicino: con una sentenza netta, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha respinto il ricorso presentato dal Comune contro la procedura fallimentare della società C. M. s.r.l., segnando un punto fermo in una vicenda che da anni coinvolge non meno di 16 famiglie residenti negli alloggi di edilizia residenziale di via Enrico Berlinguer 21 – 27. Immobili dove vivono, in totale, non meno di 36 famiglie.
La decisione giudiziaria, destinata ad avere conseguenze concrete, potrebbe preludere allo sfratto degli inquilini che non hanno – secondo il Tribunale – acquisito la proprietà degli immobili e che, secondo il giudice, non sono più titolari di alcun diritto prioritario sugli appartamenti, ma che ci vivono dentro. Il Comune, ovviamente, ha facoltà di presentare ricorso al Consiglio di Stato, secondo e ultimo grado della Giustizia amministrativa, contro tale sentenza.

Quel piano edilizio ‘condiviso’ di Fiumicino che sta creando grossi problemi
La vicenda affonda le radici in un accordo del 2007, quando Comune di Fiumicino, Regione Lazio e la società C. avevano avviato un piano per realizzare alloggi a canone calmierato destinati a famiglie con requisiti specifici.
Il progetto, finanziato anche con fondi pubblici, portò alla costruzione di 36 unità immobiliari assegnate in locazione per un periodo di otto anni. Il piano prevedeva la successiva vendita agli stessi inquilini, che avevano versato caparre per garantirsi la futura proprietà.
Il fallimento e la svolta giudiziaria: Fiumicino trema
Nel 2018 la C. M. s.r.l. è stata dichiarata fallita. La gestione degli immobili è passata alla curatela fallimentare, che ha inizialmente cercato di rispettare il piano originario, offrendo agli inquilini la possibilità di acquistare gli appartamenti.
Alcuni hanno accettato e perfezionato l’acquisto, altri – contrari al prezzo proposto – hanno rinunciato all’acquisto e richiesto la restituzione delle caparre, insinuandosi al passivo fallimentare. Successivamente, undici famiglie hanno avanzato una nuova proposta, chiedendo di acquistare al valore massimo previsto dalla convenzione, detratta la caparra. La curatela ha respinto la proposta e avviato la procedura d’asta, aperta anche a soggetti terzi.
Il ricorso del Comune di Fiumicino
A quel punto il Comune di Fiumicino è intervenuto chiedendo al TAR di obbligare la curatela a rispettare la convenzione del 2007, accettando la proposta degli inquilini e cedendo direttamente gli immobili agli stessi.
L’ente sosteneva che la vendita all’asta a terzi violasse non solo il diritto di prelazione degli assegnatari ma anche le finalità pubbliche del progetto, rischiando di trasformare un intervento sociale in una svendita a vantaggio di investitori esterni.
Le motivazioni del Tribunale
Il TAR ha però sconfessato la linea del Comune. Secondo i giudici, molti degli inquilini che oggi chiedono di acquistare gli appartamenti non sono più titolari di un diritto di prelazione, avendo rinunciato in passato alla stipula dell’atto definitivo e agito per il recupero della caparra.
Per il tribunale, questi soggetti sono oggi semplici occupanti “sine titulo” e la curatela non è obbligata ad accettare le loro proposte. Inoltre, la richiesta del Comune, più che mirare all’esecuzione della convenzione, configurerebbe un tentativo di imporre alla procedura fallimentare un accordo transattivo in favore di privati, cosa non prevista né imponibile per via giudiziaria.
Uno scenario incerto per le famiglie
La decisione apre ora uno scenario difficile per le 36 famiglie coinvolte, alcune delle quali già destinatarie di provvedimenti di rilascio. In assenza di un diritto riconosciuto, la vendita all’asta rischia di estrometterle dagli alloggi a lungo abitati, rendendo concreto il rischio di sfratto.
Il Comune, al momento, non ha annunciato ulteriori iniziative, ma la sentenza pone un punto fermo: senza un titolo giuridico chiaro, la permanenza negli immobili non può più essere garantita.
L’ombra sul futuro del progetto pubblico
La vicenda solleva interrogativi più ampi sulla gestione dell’edilizia pubblica e sulla tutela dei cittadini nei progetti di housing sociale. Se da un lato le finalità dell’intervento erano quelle di garantire il diritto all’abitazione, dall’altro l’esito della procedura fallimentare e l’indisponibilità a soluzioni negoziali hanno prodotto una frattura tra l’intento originario e gli effetti concreti. Le aste pubbliche, pur legittime, rischiano ora di cancellare anni di politiche abitative fondate su criteri di equità e inclusione.