Fiumicino, da rimessa attrezzi a dependance della villa sul mare: stangata di Comune e Tribunale

Fiumicino, un manufatto ‘spacciato‘ per ricovero attrezzi, in realtà una struttura edile imponente che lambiva le sembianze di una dependance vera e propria. È questa la vicenda approdata davanti al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, con protagonista un’abitazione di pregio affacciata sul mare di Fiumicino. La proprietaria aveva impugnato l’ordinanza del Comune che le intimava la demolizione di una tettoia di dimensioni ragguardevoli, sostenendo che si trattasse di una mera pertinenza, dunque ammissibile con procedura semplificata. Ma i giudici amministrativi hanno ribaltato la narrazione: quell’opera, hanno stabilito, alterava in modo sostanziale sagoma, prospetto e volumetria dell’edificio principale.
Una dependance per la villa di Fiumicino tutt’altro che rimessa attrezzi
Il sopralluogo del Comando di Polizia Locale di Fiumicino non lasciava spazio a dubbi. L’opera incriminata non era una baracca leggera né un riparo temporaneo. Si trattava di una tettoia in legno con basamento in cemento di oltre 60 metri quadrati, ancorata all’edificio principale mediante un solido muro di collegamento. Altezze fino a tre metri e mezzo, otto pali portanti, basamenti ulteriori e materiali stabili ne facevano una struttura permanente, non certo una semplice copertura smontabile. Con ampiezza del tetto di legno superiore ai 90 metri quadri totali. Per i giudici, tali caratteristiche rendevano evidente l’impatto urbanistico dell’intervento, ben oltre i confini della cosiddetta accessorietà edilizia.

La linea difensiva e il ricorso respinto: Tribunale promuove il comune di Fiumicino
La proprietaria aveva tentato la carta del vizio di istruttoria e della sproporzione della sanzione, sostenendo che il Comune avrebbe dovuto valutare prima la possibilità di una sanatoria o di una sanzione pecuniaria sostitutiva della demolizione.
Ma la difesa si è infranta contro i principi consolidati della giurisprudenza. I giudici hanno ribadito che, in materia di abusi edilizi, la demolizione è misura vincolata e prioritaria: non occorre una specifica motivazione di interesse pubblico, perché l’interesse tutelato è insito nella violazione stessa. Né vale l’argomento del tempo trascorso: l’abuso resta tale, anche se scoperto dopo anni, e non genera alcuna legittima aspettativa.
Pertinenze e abusi a Fiumicino: la giurisprudenza è chiara
Il Tar ha richiamato una lunga serie di precedenti del Consiglio di Stato per ribadire un concetto cruciale: una tettoia può essere considerata pertinenza edilizia solo se modesta nelle dimensioni, accessoria e priva di autonoma funzione.
Quando invece, come in questo caso, la costruzione assume consistenza volumetrica significativa, incide in modo stabile sul territorio e altera la fisionomia dell’immobile, non si può parlare di pertinenza. Serve il permesso di costruire, e la mancanza di tale titolo comporta l’illegittimità insanabile dell’opera.
La demolizione come regola, la sanzione pecuniaria come eccezione
Un altro nodo affrontato in sentenza riguarda l’ipotesi di sostituire la demolizione con il pagamento di una multa. Anche qui il Tribunale è stato netto: la sanzione pecuniaria è possibile solo quando la demolizione risulti tecnicamente impossibile senza compromettere la parte legittima dell’edificio.
Nel caso specifico, la ricorrente non ha fornito alcuna prova di tale impossibilità. Pertanto, l’ordine di demolizione è stato confermato come misura obbligata, non surrogabile da un esborso economico. La linea è chiara: reprimere l’abusivismo edilizio passa prima di tutto dal ripristino dei luoghi.
Nessuna sanatoria presentata
A nulla è valsa, inoltre, la tesi secondo cui l’opera avrebbe potuto essere sanata. Il Tar ha sottolineato che non risultava presentata alcuna istanza di sanatoria da parte della proprietaria. E senza tale passaggio formale, ogni discorso sull’eventuale regolarizzazione rimaneva privo di fondamento giuridico. La demolizione, dunque, non solo era legittima, ma inevitabile.
Il verdetto: condanna e spese a carico
La sentenza si è chiusa con il rigetto integrale del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, quantificate in 2.000 euro oltre accessori. Una cifra che, seppur modesta rispetto al valore dell’opera contestata, segna un ulteriore aggravio per la parte soccombente. Ma il vero peso è quello della demolizione, che rappresenta una stangata simbolica e materiale per chi aveva tentato di trasformare una semplice rimessa in una dependance con vista mare.
Un monito contro l’abusivismo sul litorale
La vicenda si inserisce nel più ampio contesto della lotta agli abusi edilizi lungo la costa laziale, da anni al centro di controlli serrati. La decisione del Tar assume così un valore esemplare: nessuna tolleranza per opere che, dietro la facciata di “semplici pertinenze”, celano vere e proprie trasformazioni abusive. Un messaggio inequivocabile a tutela dell’assetto urbanistico, del paesaggio e del rispetto delle regole.