Fiumicino, il famoso stabilimento trascina il Comune in Tribunale: “Abbiamo diritto a una concessione senza limiti temporali”

A Fiumicino non è solo la sabbia a scottare. Da due anni, un noto stabilimento balneare della costa romana, nei pressi del centro città, ha ingaggiato un duello giudiziario con il Comune e la Regione Lazio per un motivo esplosivo: la pretesa di ottenere una concessione demaniale “senza limiti di tempo”, in nome di un presunto diritto acquisito prima che le norme europee sulla concorrenza entrassero in vigore. L’impresa, fondata ben prima della direttiva Bolkestein del 2006 e della storica sentenza Telaustria del 2000, ha chiesto al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio di riconoscere che la propria concessione — relativa a uno stabilimento con bar e ristorante sul litorale — non possa essere toccata da bandi o gare pubbliche. Una sfida aperta all’impianto giuridico europeo e nazionale che, negli ultimi anni, ha cercato di riportare ordine, trasparenza e concorrenza nel caotico mondo delle spiagge italiane.
Il diritto “di insistenza”: un mito che non regge più
Il cuore del ricorso ruotava attorno al cosiddetto “diritto di insistenza”, una vecchia norma del Codice della Navigazione che consentiva al gestore uscente di avere una corsia preferenziale nel rinnovo della concessione.
Ma il TAR Lazio, nella sentenza pubblicata dopo l’udienza del 23 settembre 2025, ha fatto a pezzi questo argomento: quel diritto, ha scritto il collegio, è stato abolito nel 2009 proprio perché in contrasto con i principi comunitari di concorrenza e parità di trattamento.

In altre parole, nessuno può più rivendicare una spiaggia “a vita”. Le concessioni demaniali — ricordano i giudici — sono precise, temporanee e revocabili, perché il mare resta un bene pubblico, non un affare privato. “L’autorizzazione all’occupazione dell’area è temporanea ed è revocabile”, ribadisce la sentenza citando la recente giurisprudenza europea.
L’illusione del “diritto acquisito”
La società ricorrente ha provato a giocare la carta della cronologia: la concessione, sosteneva, è nata quando le regole europee non esistevano. Dunque, secondo questa logica, non sarebbe soggetta alle direttive sulla trasparenza e sulla concorrenza.
Una tesi che il TAR definisce “fallace”. Le norme europee, spiegano i giudici, si applicano anche ai rapporti “di durata” come le concessioni marittime: cioè a quelle situazioni che continuano nel tempo.
Tradotto: anche se uno stabilimento è nato decenni fa, il rinnovo o la proroga successiva alla direttiva Bolkestein deve sottostare alle regole europee.
Non solo. Secondo il Tribunale, accettare l’idea che le vecchie concessioni restino immuni dalle nuove norme equivarrebbe a “creare un privilegio permanente”, contrario ai principi di concorrenza e uguaglianza.
Bruxelles detta la linea
Il TAR cita esplicitamente la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che con una sentenza del giugno 2025 ha ribadito che anche le concessioni rilasciate prima del 2009 rientrano nel campo di applicazione della direttiva servizi quando vengono rinnovate.
In sostanza, non conta la data di nascita dello stabilimento, ma il fatto che l’attività continui oggi, in un mercato che deve essere aperto a tutti.
La Corte di Lussemburgo è stata chiara anche su un altro punto: le spiagge sono risorse naturali scarse, e per questo ogni concessione deve essere assegnata tramite gara pubblica. Nessuna “esclusiva perpetua”, nessuna eredità di famiglia.
Addio all’illusione del mare “privato”
La decisione dei giudici amministrativi romani mette un punto fermo in una battaglia che si trascina da anni tra amministrazioni locali e imprenditori balneari.
Il TAR non solo respinge il ricorso, ma condanna la società al pagamento di 2.000 euro di spese legali al Comune di Fiumicino.
Una somma simbolica, ma dal peso politico e giuridico enorme.
Con questa sentenza, il Tribunale riafferma che il demanio marittimo appartiene ai cittadini, non ai concessionari storici. E che l’epoca dei rinnovi automatici e delle proroghe “a vita” — spesso giustificate come tutela dell’“affidamento” o del “valore aziendale” — è ormai chiusa.
Il mare torna pubblico
Il messaggio è chiaro: nessuno può rivendicare “un diritto al mare”.
Il giudice amministrativo ha smontato punto per punto la retorica del “diritto acquisito”, ricordando che nessun operatore può vantare un affidamento legittimo su una prassi illegittima, come quella delle proroghe automatiche infinite.
Anche perché, scrive il TAR, “una prassi contraria al diritto europeo non può generare un affidamento giuridicamente tutelabile”.
Con buona pace dei concessionari che speravano di restare “padroni” della spiaggia senza passare da una gara, il mare di Fiumicino — almeno per ora — torna a essere davvero di tutti.