Fiumicino, nuova guerra sui canoni pagati dagli stabilimenti, il Comune trascinato in Tribunale: “Troppo alti”

Fiumicino, l'area della costa, foto Google Maps

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Fiumicino, il Tribunale Amministrativo del Lazio ha chiuso una lunga contesa (durata tre anni) tra il Comune e la società che gestiva lo stabilimento balneare pubblico “L. P.”. L’azienda sosteneva che per 11 anni – dal 2007 al 2017 – i canoni demaniali richiesti fossero stati calcolati male e quindi “gonfiati” dal Comune di Fiumicino. I giudici amministrativi però hanno dichiarato una parte del ricorso inammissibile e per il resto lo hanno respinto. Arrivando addirittura a condannare la società a pagare 2.000 euro di spese legali al Comune di Fiumicino.

“Pagamenti troppo alti”: la protesta dello stabilimento

Il cuore della richiesta giudiziaria era semplice: “Abbiamo pagato più del dovuto”. Secondo la società, nel conto dei canoni il Comune di Fiumicino avrebbe incluso strutture e beni considerati “pertinenze”. E avrebbe usato criteri che, a loro dire, facevano salire la cifra. Non una discussione astratta. Qui si parlava di soldi veri, anno per anno. Fino alla richiesta finale di rideterminare gli importi e ottenere la restituzione di quanto pagato “in eccesso”. Una richiesta che, se accolta, avrebbe aperto un precedente scomodo anche per altri casi simili.

Il punto politico: canoni, spiagge e tensione permanente

La vicenda si inserisce in un nervo scoperto: le concessioni sul litorale sono un tema che brucia, perché tocca tre interessi che spesso si scontrano. Da una parte chi gestisce e dice “così non reggiamo”. Dall’altra i Comuni che devono far rispettare regole e incassare entrate, e infine i cittadini che pretendono trasparenza. Quanto vale davvero occupare un pezzo di costa pubblica? Quando scoppia una lite sui canoni, non è mai solo una questione contabile: diventa subito una questione di equità e di potere.

Perché il TAR non entra su una parte delle contestazioni

Sui criteri di valutazione economica citati dalla società (in sostanza: “avete usato valori sbagliati”), il TAR ha messo un paletto: non basta dire ‘è sbagliato’, bisogna spiegare in modo preciso dove sta l’errore e con quali dati. Per i giudici, su questo fronte la contestazione è stata troppo generica: mancava una dimostrazione concreta, legata proprio a quello stabilimento, a quelle strutture, a quelle cifre. Risultato: quella parte è stata “tagliata fuori” senza neppure arrivare al punto.

Il Comune vince sul resto: “Il canone era scritto e le opere contano”

Sul resto, il TAR ha richiamato anche quanto già affermato in una precedente decisione del Consiglio di Stato (2023) legata alla stessa concessione, dove si diceva, in sostanza: l’importo del canone era indicato nell’atto e non poteva diventare “incerto” per fatti successivi o contestazioni arrivate dopo. In più, sul tema delle strutture, è stato ritenuto decisivo che molte opere risultassero già considerate acquisite al demanio in epoca precedente al subentro della società (1989). Tradotto: non passa l’idea “quelle cose non dovevano pesare sul canone”.

Che cosa resta dopo la sentenza: un segnale per il litorale

La società non ottiene né ricalcoli né rimborsi e paga anche le spese di giudizio al comune di Fiumicino. Ma la storia lascia un messaggio politico chiaro. Quando si contesta un canone pubblico bisogna arrivare in Tribunale con una ricostruzione “a prova di bomba”, non con accuse generiche. E sul litorale, dove i rapporti tra concessionari e amministrazioni sono spesso tesi, questa sentenza rischia di diventare un riferimento. Per chi gestisce, un monito a documentare tutto prima. Per il Comune, una conferma della linea dura. Intanto, sullo sfondo, resta la domanda dei cittadini: quanto costa davvero, e a chi conviene, la gestione della costa pubblica?