Fiumicino, quel ‘pezzo’ di stabilimento non è in regola: il Tribunale conferma l’ordinanza del Comune

Un tratto di costa a Fiumicino, precisamente nella località di Maccarese, finisce nuovamente sotto la lente della giustizia amministrativa. Al centro della vicenda, una parte di stabilimento balneare che, secondo il Comune, risulta almeno parzialmente irregolare. La controversia si è chiusa con una sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, che ha respinto il ricorso presentato nel 2019 dalla società concessionaria dell’area di proprietà pubblica.
La questione è scaturita da un’ordinanza dirigenziale dell’11 giugno 2019, con cui il Comune intimava lo sgombero e il ripristino dello stato dei luoghi in riferimento a una concessione demaniale marittima rilasciata nel 2009. L’area contestata comprendeva diverse strutture temporanee: un chiosco stagionale, un magazzino, un locale per il lavaggio delle stoviglie e un’area attrezzata per ombrelloni.

Fiumicino, un’ordinanza difficile da contestare
La società ha tentato di impugnare l’ordinanza, sostenendo la carenza di motivazioni. La violazione dei diritti partecipativi e la mancata valutazione di istanze di sanatoria presentate in passato. Tuttavia, il Tar ha ritenuto infondate tutte le eccezioni sollevate.
Secondo i giudici, in materia di abusi edilizi su aree demaniali, l’Amministrazione ha il dovere di intervenire in modo vincolato. La legge impone l’adozione di provvedimenti repressivi ogni volta che vengono rilevate irregolarità, e questi provvedimenti non necessitano di particolari motivazioni o avvisi preliminari, trattandosi di atti privi di margini discrezionali.
Sanatoria? Non basta presentare la domanda al Comune di Fiumicino
Un punto centrale del ricorso riguardava la presentazione di istanze di sanatoria edilizia. La società riteneva che queste avrebbero dovuto sospendere qualsiasi provvedimento di demolizione o sgombero.
Il Tar ha chiarito che la semplice presentazione di un’istanza non blocca l’azione del Comune, a meno che la richiesta non sia esaminata e accolta. Inoltre, le opere realizzate dopo la presentazione di una domanda di condono, anche se minori o accessorie, restano comunque abusive fino a nuova valutazione e devono essere rimosse.
Nella fattispecie, molte delle strutture contestate erano già state oggetto di un precedente ordine di demolizione risalente addirittura al 1998. Non avendo la società impugnato quell’atto nei tempi previsti, l’ordinanza del 2019 è stata considerata una mera reiterazione di un obbligo già stabilito.
“Le strutture abusive vanno rimosse”
Il Tribunale ha sottolineato che il Comune aveva già avviato il procedimento repressivo in passato e che il provvedimento impugnato si inserisce in un quadro giuridico consolidato. Quanto alle nuove opere, realizzate in assenza di titolo abilitativo e senza esito favorevole delle richieste di condono, esse sono considerate abusive a tutti gli effetti.
Il giudizio ha confermato la legittimità dell’intervento comunale e respinto ogni tentativo della società di eludere gli obblighi di legge. Il ricorso è stato dunque rigettato e la società è stata condannata anche al pagamento delle spese processuali, pari a 2.000 euro.
Una sentenza che fa giurisprudenza?
Il caso non è isolato. La sentenza si inserisce in una linea giurisprudenziale ormai consolidata, che rafforza il principio secondo cui l’interesse pubblico alla regolarità urbanistica prevale su ogni altra valutazione soggettiva.
Le amministrazioni locali, in presenza di abusi edilizi su suolo demaniale, hanno l’obbligo di intervenire, anche senza coinvolgere preventivamente il privato. Un’ulteriore conferma, se ce ne fosse bisogno, che la gestione del litorale deve avvenire secondo regole certe, nel rispetto della legalità e del bene collettivo.
In un periodo in cui l’attenzione su concessioni balneari e occupazione del suolo pubblico è altissima. Questa sentenza ribadisce che la tolleranza verso situazioni borderline non ha più cittadinanza, nemmeno a livello amministrativo.