Fiumicino, sfrattato a Natale dopo una vita di precarietà: Massimo e il cane Sette lasciati senza casa

Massimo Battaglia Fiumicino

C’è chi aspetta il Natale e chi lo teme. A Fiumicino, per Massimo Battaglia, le feste coincidono con l’ennesimo sfratto e con una parola che pesa più di tutte: fine delle tutele. Non è una storia improvvisa né un caso isolato. È il racconto di un’esistenza intera trascorsa dentro l’emergenza abitativa, diventata normalità, senza mai una vera uscita.

Una vita in emergenza, dal container allo sfratto

Massimo vive senza una casa stabile da decenni. Ha bussato ovunque: istituzionigiornali, uffici. Alla fine è arrivato alla nostra redazione con una richiesta semplice, quasi disarmante: «Ho bisogno di aiuto».
Il suo percorso parte da lontano. Dieci anni in un container, nato come soluzione temporanea dopo un incendio e trasformato, di fatto, in un alloggio permanente. Poi il trasferimento a Torre Alessandrina, che però non segna alcuna svolta.

«Il Comune pagava 700 euro di affitto per una casa di 28 metri quadrati, una casa minuscola», racconta Massimo. Nel 2023 il contratto tra cooperativa e proprietario scade. «Il Comune ha continuato a pagare – racconta Massimo – ma senza un accordo valido. E io mi sono ritrovato comunque fuori». Cinque mesi fa arriva infatti lo sfratto, diventato esecutivo dieci giorni fa.

Dal b&b alla strada

Dopo lo sfratto, un’altra parentesi provvisoria: due mesi in un b&b, indicato come intervento di emergenza sociale. Alla scadenza, però, non arriva una nuova soluzione, ma la comunicazione della chiusura della presa in carico del PIS, il Pronto intervento sociale. Un atto amministrativo, formalmente corretto. Umanamente devastante. Senza alternative, Massimo torna a Torre Alessandrina, ma la casa è ormai un guscio vuoto. Niente acqua, niente luce, niente gas. Si cucina con un fornelletto da campeggio. Si vive senza servizi essenziali. Una precarietà che non è solo personale, ma racconta le crepe di un sistema che dovrebbe proteggere.

Accanto a lui c’è sempre Sette, il suo cane di sei anni, incrocio tra maremmano e pitbull. «È un cane buonissimo. Per me è come un figlio», dice Massimo. Ed è qui che il sistema mostra un’altra crepa. In caso di sistemazioni non idonee, gli viene detto, Sette deve andare al canile. Una scelta che per lui non esiste. Perché perdere la casa è una cosa. Perdere anche l’unico affetto stabile è un’altra.

Alloggi indegni e proposte irricevibili

Nel tempo le alternative proposte non hanno mai garantito dignità. Una in particolare gli resta impressa. «Mi hanno offerto un alloggio di 18 metri quadrati, ricavato da un garage, con un’altezza sotto i due metri, due lucernari e nessuna finestra in camera e in bagno». Massimo rifiuta. Non per capriccio. Per sopravvivenza. Alla precarietà abitativa si somma quella lavorativa. Massimo cerca impiego come scaffalista nel reparto ortofrutta dei supermercati. Ma anche qui la realtà lo blocca. I mezzi pubblici dal Fontanile di via di Mezzaluna partono alle 7.30. L’arrivo è alle 8.30, troppo tardi per l’inizio dei turni. «Adesso sto facendo dei lavoretti in nero, per avere almeno il necessario per mangiare, per me e per Sette». E riguardo la casa chiarisce. «Non voglio una reggia. Anche 40 metri quadrati vanno bene. Anche da ristrutturare, so farlo da solo. Ma voglio essere trattato come un essere umano, non vivere con la paura costante che qualcuno venga a cacciarmi».

Il Comune di Fiumicino chiude il percorso di assistenza emergenziale e invita Massimo a provvedere autonomamente alla propria sistemazione. Ma è qui che il sistema si inceppa. Le soluzioni non sono praticabili, le alternative non esistono. Casa e lavoro diventano due diritti che si negano a vicenda. Senza una casa è difficile lavorare. Senza lavoro è impossibile uscire dall’emergenza abitativa.

Accanto a Massimo resta solo l’Unione Inquilini di Fiumicino, che continua a seguire il caso. Ma il tempo corre. E mentre la città si prepara alle feste, per Massimo e Sette il Natale rischia di arrivare senza un tetto. E senza risposte.