Fregene, il Tribunale gela il famoso stabilimento e il Comune di Fiumicino: ricorso bocciato sul “fino al 2033”
Fregene, il TAR Lazio (Sezione Quinta Ter) ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da una società privata che gestisce un notissimo stabilimento che rivendicava una tutela rafforzata sulla durata di una concessione demaniale marittima destinata ad attività turistico-ricreative, con tanto di bar e ristorante. È un passaggio che torna a far rumore nel dibattito pubblico sulle spiagge: non solo per la singola vicenda, ma per il segnale che manda a tutto il settore.
La partita del “fino al 2033” su Fregene
Al centro c’è una data politicamente esplosiva: 31 dicembre 2033. La società ricorrente ha rappresentato di essere titolare della concessione demaniale marittima n. 8**/2000 e ha richiamato una determinazione dirigenziale del 31 dicembre 2020 che avrebbe riconosciuto un’estensione temporale sino al 2033. Da qui l’obiettivo: ottenere dal TAR un accertamento che impedisse di applicare al proprio rapporto concessorio l’orientamento giurisprudenziale più rigoroso in tema di concorrenza e trasparenza.
La strategia: “noi siamo nati prima delle nuove regole”
La società ha chiesto al Tribunale di dichiarare che, essendo il rapporto sorto prima della scadenza del termine di trasposizione della Direttiva 2006/123/CE (servizi nel mercato interno), non si dovessero applicare i principi enunciati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con le sentenze n. 17 e 18 del 9 novembre 2021. Nel ricorso emerge anche il tema del superamento del cosiddetto “diritto di insistenza”, cioè l’idea che il concessionario uscente possa vantare un vantaggio nel rinnovo.
Perché il TAR ha detto no: interesse “solo teorico”
La “stangata” sta nella motivazione: per il TAR, quando il ricorso è stato proposto (R.G. 10955/2022) mancava un interesse concreto e attuale. Se, infatti, l’amministrazione aveva già riconosciuto con un atto formale un’estensione fino al 2033, la richiesta di un “ombrello” giudiziario contro una possibile futura riduzione veniva letta come un’azione basata su una condotta amministrativa futura e incerta. In sostanza, il giudice amministrativo non viene chiamato a dare pareri in astratto: decide su atti che incidono realmente qui e ora.
Il dettaglio che cambia lo scenario: provvedimenti successivi
La sentenza registra però un elemento politicamente rilevante: successivamente l’amministrazione è intervenuta con provvedimenti ulteriori, che risultano “ritualmente impugnati”. Tradotto: solo quegli atti successivi avrebbero reso attuale l’interesse della società, spostando il confronto su un piano più concreto. È un punto che parla all’opinione pubblica: la partita sulle concessioni non si gioca con pronunce “preventive”, ma con contenziosi legati a decisioni amministrative specifiche, in un settore dove il demanio è bene comune e la posta in gioco è l’equilibrio tra continuità d’impresa e accesso trasparente alle risorse pubbliche.
Anche sul merito, un segnale: tesi ritenuta infondata
Pur chiudendo formalmente per inammissibilità, il TAR aggiunge un passaggio che suona come avvertimento al comparto: “in ogni caso” il ricorso sarebbe stato infondato nel merito, richiamando una decisione analoga del 10 ottobre 2025. Le spese sono compensate, a conferma della complessità di un campo travolto da riforme, rinvii e tensioni istituzionali. Ma il messaggio politico resta: la data “2033” non si ottiene per via giudiziaria in astratto. La questione concessioni continua, e riguarda non solo gli operatori, ma la trasparenza nella gestione di un patrimonio pubblico che appartiene a tutti.