I dati Rai sono segreti. Come le chat di Palamara

A Viale Mazzini non si può frugare nei dati sul pluralismo; alla Rai non si rendono conto che sono segreti come le chat di Palamara. Prima o poi vengono fuori.
C’è una specie di segreto di Stato dalle parti dell’azienda del servizio pubblico. Paghiamo il canone “anche” per vedere rispettato il pluralismo. Ebbene, le testate giornalistiche non possono consultarli. Devono mettersi alle calcagna dei membri della commissione di vigilanza nelle strade di Roma per elemosinarli. È il contrario della trasparenza.

I segreti della Rai…
Sul sito del Parlamento si possono consultare in tempo reale i dati relativi alle votazioni. Le proposte di legge. Persino gli spiccioli destinati alle varie misure dalle leggi di bilancio dello Stato. Ma i secondi concessi dalla Rai a questo o quel partito – che so, Calenda – non si debbono sapere. O meglio, è necessario avere conoscenze per farseli dare scocciando un po’.
E’ roba da pazzi. Il giornalismo non si deve occupare di giornalismo. Informazione negata. Provi qualunque testata a rivolgere una domanda alla direzione relazioni istituzionali della Rai. Che sta proprio a viale Mazzini 14. È il palazzo che in tanti da giovani hanno sognato come sede di lavoro. Però deve essere anche molto triste.
Provi qualunque collega giornalista a scrivere una mail alla direzione, magari per chiedere “se è possibile essere inserito nel vostro indirizzario per l’osservatorio di Pavia”. Per la propria testata ovviamente, non per hobby, come è capitato a un mio collega per il suo giornale. E si chiede quella documentazione a loro perché è da lì che quel materiale che cronometra le presenze dei partiti in tv parte in varie direzioni. La commissione di vigilanza Rai. I vertici aziendali. L’Agenzia delle comunicazioni. A proposito, ti rispondono così. “L’Agcom, peraltro, pubblica mensilmente i dati quantitativi sul proprio sito con criteri di rilevazione del tutto analoghi a quelli dell’Osservatorio di Pavia”.
“Non possiamo darveli”
Quindi, se sono uguali, perché l’Agcom sì e la Rai non li rende pubblici? Forse perché la periodicità è diversa da quella settimanale – e magari quotidiana – che è in possesso di viale Mazzini? E perché non si possono avere per i media? Sono segreti di Stato? Per ora ne scriviamo qui, ma siamo pronti a farne una grande campagna di trasparenza a partire da tutta la rete.
È un atteggiamento pessimo quello della Rai. Dicono “abbiamo sempre fatto così”. Bene, un motivo in più per cambiare registro. Con la gestione Foa-Salini ci si aspettava trasparenza. Almeno sui dati relativi alle presenze politiche in tv. Invece è desolante quell’“abbiamo sempre fatto così”. Vorrà dire che anche noi faremo “sempre così” e non avremo pietà ad ogni vostro secondo sbagliato. Lo scriveremo “qui”. “Li”. Sui social. Su Twitter. Su Facebook. Su qualunque quotidiano vorrà ospitare dati che non sono affatto riservati a voi. Sarete circondati. O pensate che quei documenti siano custoditi meglio delle chat di Palamara?
Ovviamente la colpa non è di chi ha cortesemente risposto come le hanno detto di fare. Ma di un vertice aziendale che non vuole far sapere nulla, illudendosi di riuscirci. Questo è il periodo delle mascherine, ma non delle museruole. E al tempo della rete è davvero ridicolo frapporre un muro burocratico ad una richiesta di trasparenza. Perché poi quel muro viene inesorabilmente abbattuto. O pensate di essere più duraturi di quello di Berlino? Segreti Rai, roba da ridere.