I parlamentari vogliono rinviare le elezioni a giugno per gli stipendi: ci costerà 20 milioni di euro

referendum camera
Contenuti dell'articolo

Verità&Affari ci ricorda un problema che si tende troppo spesso a dimenticare. Ossia il desiderio dei parlamentari di posporre le elezioni per rimanere incollati alle poltrone e quindi continuare a “guadagnare” soldi. Anche perché nel prossimo parlamento – e per fortuna! – ci saranno 345 posti in meno e quindi le poltrone sono ridotte. Nella storia repubblicana non è mai capitato che si votasse dopo più di cinque anni dalla precedente elezione. Ma stavolta sembra che i parlamentari stiano facendo di tutto per allontanare il momento dell’addio alle poltrone e conseguentemente agli stipendi. E che stipendi. Stavolta, a meno di improbabili litigi e crisi di governo, si potrebbe votare dopo cinque anni e tre mesi dalle precedenti elezioni.

Si accorperanno le elezioni politiche con alcune importanti regionali

Scrive infatti Verità&Affari: “Tra Montecitorio e Palazzo Madama una data molto quotata per il prossimo voto è quella del 28 maggio del 2023. Sarebbe in teoria anche l’ultima data disponibile, se le Camere venissero sciolte il giorno prima della fine ufficiale della legislatura (cominciata con l’insediamento del nuovo Parlamento il 23 marzo 2018) e non si sforasse il limite dei settanta giorni di tempo che la Costituzione fissa tra scioglimento delle Camere e ritorno alle urne. Anche se alcuni parlamentari hanno ipotizzato un rinvio fino a inizio giugno. Nella data che alla fine sarà scelta, comunque, si dovrebbero tenere non solo le politiche nazionali ma anche le regionali in Lazio e Lombardia. All’accorpamento starebbe pensando il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese.”

Il governo prima del voto vuole pensare alle nomine

Riporta ancora V&A: “Parlando con La Stampa, un parlamentare ha spiegato: «Il versamento ogni sei mesi della quota di risorse Ue spettante ad ogni Paese è legata al raggiungimento degli obiettivi, quali riforme e investimenti, anche dentro i singoli ministeri. Tutto va avanti se c’è una forte leadership politica, altrimenti se si votasse a marzo, in mezzo al semestre, non si avrebbe tempo per fare le cose per bene».Insomma, sembra che tra le condizionalità non scritte del Pnrr ci sia anche quella di adeguare i tempi della democrazia ai tempi degli investimenti. Ad ogni modo, sempre secondo La Stampa, il governo avrebbe anche un altro motivo per rimandare il voto a fine maggio. Ossia potersi occupare in prima persona delle nomine nelle principali società pubbliche, Eni Enel e Leonardo, in scadenza il prossimo aprile…

Il partito del rinvio conta moltissimi sostenitori: ecco perché

Il partito del rinvio può contare sul sostegno di una larghissima parte dei parlamentari: quelli che sanno di avere poche o nessuna possibilità di essere rieletti in un Parlamento che diventerà molto più selettivo. Per chi è in odore di non riconferma, dice ancora Verità&Affari, prolungare di tre mesi la propria permanenza tra i banchi di Montecitorio e di Palazzo Madama significa portare a casa più di 55 mila euro di stipendio.

Ogni parlamentare guadagna quasi 19mila euro al mese

Un deputato infatti incassa ogni mese un’indennità di 10.435 euro, una diaria di 3.503 euro (questa può subire una decurtazione se l’onorevole non partecipa ai lavori, ma il calcolo per determinare che cosa sia un’assenza è complicato. Per esempio, se partecipi al 30% delle votazioni di una giornata sei considerato presente), un rimborso spese di 3.690 euro, un rimborso fisso per la copertura dei costi di trasporto e viaggio pari a circa 1.100 euro e un rimborso di altri 100 euro per le spese telefoniche. In totale, poco meno di 19 mila euro al mese. Per i senatori la cifra è simile anche se un po’ più bassa”.

Il rinvio potrebbe costarci 20 milioni di euro

Insomma, conclude Verità&Afari, il rinvio potrebbe costarci venti milioni di euro. “Con una certa approssimazionesi può dire che tre mesi in più di questo Parlamento hanno un costo di circa venti milioni di euro (gli stipendi dei deputati che nella prossima legislatura non ci saranno più) e benefici (su spread, Pnrr e quant’altro) quanto meno dubbi”.