Ichino: giusto chiedere al lavoratore di vaccinarsi

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Vaccino o non vaccino? Questo è il problema… “Prevale nettamente nella dottrina giuslavoristica italiana la tesi secondo cui il datore di lavoro ha il potere-dovere, a norma dell’articolo 2087 del Codice civile, di adottare la misura della vaccinazione anti-Covid come misura idonea a ridurre al minimo il rischio di contagio nel luogo di lavoro”. Lo dice ad Adnkronos/Labitalia, Pietro Ichino, giuslavorista.

Il datore di lavoro deve ridurre i rischi col vaccino

“Per altro verso, l’articolo 15 del Testo Unico sulla sicurezza del lavoro (d.lgs. n. 81/2008) impone al datore di lavoro, in presenza di un rischio per salute o sicurezza, ove possibile di eliminarlo alla radice. E la scienza medica è univoca nel ritenere che il solo modo per eliminare radicalmente il rischio di contagio da Covid-19 è la vaccinazione di tutti gli interessati”, dettaglia il professore, docente di diritto del lavoro all’Università di Milano.

E’ una protezione per tutti i dipendenti, dice Ichino

“Dunque, il datore di lavoro può e deve chiedere ai propri dipendenti di rispettare questa misura di sicurezza, a protezione di se stessi e dei loro colleghi. Si può discutere delle conseguenze giuridiche dell’eventuale renitenza del dipendente. Ma che il datore di lavoro possa indicare la vaccinazione come misura necessaria, sembra difficilmente discutibile”, conclude Ichino.

Per il giuslavorista Tiraboschi non è così

Ma le opinioni sono diverse. “Rispetto ai lavoratori che si rifiutano di ricorrere alla vaccinazione, il datore di lavoro non può pensare di recedere dal contratto di lavoro. Ma deve farsi carico, da un lato, di capire se il dipendente non vaccinato possa continuare a svolgere quella determinata mansione. E dall’altro dovrebbe occuparsi di trovare delle modalità organizzative per ridurre il rischio di contagio all’interno dei locali aziendali.

“Ci sono lavorazioni che presentano un rischio maggiore”

Giacché chi non si sottopone al vaccino è più esposto alla contrazione del virus”. Lo dice ad Adnkronos/Labitalia, Michele Tiraboschi, giuslavorista e coordinatore scientifico di Adapt. “Va certamente considerato – osserva Tiraboschi – che ci sono lavorazioni che presentano, sotto il profilo dell’esposizione al contagio, un rischio maggiore. E’  soprattutto in quei casi che, a fronte di un rifiuto del lavoratore, il datore deve ripensare il modello organizzativo”.

Affrontare il nodo del vaccino

E sul piano dell’indirizzo politico “sarebbe auspicabile, a un anno esatto dalla firma del protocollo anti-contagio del 14 marzo 2020, un nuovo accordo di aggiornamento dei contenuti. Che affronti anche il nodo dei vaccini che è dirimente per le responsabilità datoriali e la sicurezza dei lavoratori”, conclude Tiraboschi.