Inceneritore Santa Palomba, revocata l’autorizzazione, ma nessuno stop definitivo: il progetto non si arresta (e neanche le proteste)
Inceneritore Santa Palomba, nessuno stop definitivo da parte della Regione. Le notizie diffuse nei giorni scorsi avevano fatto pensare a una vittoria per comitati e cittadini, ma le cose non stanno proprio così. Il termovalorizzatore di Santa Palomba, fiore all’occhiello (almeno sulla carta) del piano rifiuti del sindaco Roberto Gualtieri, è finito piuttosto al centro di un (atro) terremoto politico, ambientale e giudiziario. Dopo la revoca dell’autorizzazione regionale, la vicenda non si è conclusa, anzi. Spuntano infatti accuse di traffico di influenze, sospetti di abusi di potere e nuovi fronti aperti dalle associazioni ambientaliste, decise a non mollare la presa. E la sensazione è che questo progetto mastodontico rischi di inghiottirsi da solo, tra pozzi d’acqua contesi, pareri contraddittori e denunce a raffica.
La revoca della Regione
Da quando Santa Palomba è stata scelta come sito per la costruzione del termovalorizzatore, l’area al confine tra Roma, Pomezia, Ardea e Albano è diventata terreno di battaglia. Da una parte residenti e associazioni, con promesse di di barricate, cortei e petizioni. Dall’altra l’avanzata amministrativa del progetto, spinta dal Campidoglio, che sembrava inarrestabile. Almeno fino a pochi giorni fa, quando la Regione Lazio ha improvvisamente revocato l’autorizzazione precedentemente concessa. Il nodo, spiegano dagli uffici regionali, non riguarda tanto il consumo quotidiano d’acqua, quanto quello “di emergenza”, ovvero i prelievi dai pozzi che, in caso di necessità, andrebbero a gravare su un sistema idrico già fragile, quello dei Colli Albani.
L’area in cui dovrebbe sorgere l’impianto rientra tra le zone a rischio idrogeologico, e secondo la delibera di giunta regionale n. 445/2009, le nuove concessioni di prelievo sono sospese. Nonostante tutto questo, la Regione non parla di stop definitivo. L’obiettivo, dicono, è “tutelare i laghi di Albano e Nemi e l’intero sistema idrico dei Colli Albani”, avviando una nuova valutazione ambientale. Un passaggio tecnico, quindi, non politico. Ma per i comitati contrari, è solo l’ennesima mossa dilatoria.
La replica dei comitati: non basta
Il Comitato No Inceneritore lo ha detto chiaro: «Non c’è nessun trionfo. La revoca è un fatto positivo, ma non risolutivo. La Regione deve dire un vero stop, non rinviare tutto a nuovi pareri». Nella loro nota, i comitati mettono in guardia dai “toni trionfalistici” di certa stampa e ricordano che, nel frattempo, la crisi dell’acquifero dei Colli Albani continua a peggiorare. Dietro la battaglia tecnica, insomma, c’è una guerra di fiducia: da un lato il Comune e Acea, dall’altro cittadini e associazioni convinti che il progetto sia un affare mascherato da emergenza ambientale.
La denuncia delle associazioni
E non solo. Quattro associazioni locali — Salute Ambiente Albano, Pavona per la Difesa della Salute, Latium Vetus e Comitato di Quartiere Santa Palomba — hanno depositato una denuncia per traffico di influenze, corruzione e disastro ambientale. Nel mirino ci sono Acea, Unindustria Lazio, l’Autorità di Bacino e lo stesso Comune di Roma, con il sindaco Roberto Gualtieri indicato come commissario straordinario del progetto. Le associazioni accusano gli enti di aver dato pareri positivi al progetto mentre, nello stesso tempo, chiedevano fondi pubblici al Governo per realizzare la condotta idrica destinata al raffreddamento dell’impianto. Un’opera da milioni di euro che, sostengono, servirebbe un impianto privato, pagato però con i soldi dei cittadini.
A peggiorare il quadro ci sono i pareri contraddittori della stessa Autorità di Bacino: da un lato, un documento che definisce “sicura” l’area dove sorgerà l’impianto; dall’altro, un iter avviato poche settimane dopo per classificarla come zona a rischio inondazione. Un cortocircuito istituzionale che fa gridare allo scandalo. «Con una mano approvano il progetto, con l’altra lo dichiarano pericoloso», denunciano i comitati, accusando l’Autorità di agire come “avvocato difensore di Acea invece che come garante del territorio”.
E la battaglia legale si intreccia a quella civile. I cittadini promettono nuovi ricorsi e manifestazioni, chiedendo il sequestro degli atti e una verifica giudiziaria dei rischi ambientali realinceneritore. «Il territorio dei Castelli Romani non è una discarica né una cava da prosciugare – dichiarano le associazioni – è la nostra casa, e la difenderemo con ogni mezzo legittimo».