Infermieri, gli “eroi” celebrati e subito dimenticati

Gli applausi dai balconi. La celebrazione da parte di tutti i media. Le promesse delle istituzioni nazionali e regionali. Poi il nulla. Gli infermieri, eroi in prima linea nella lotta contro la pandemia, sono già stati dimenticati. Un film visto molte volte. Se togliamo qualche risibile bonus economico elargito dalle regioni, per gli infermieri rimane una pacca sulla spalla e il ritorno alla realtà di sempre.
Gli infermieri sono la colonna portante del servizio sanitario nazionale non solo perché costituiscono la categoria più numerosa, ma soprattutto perché sono gli operatori vicini ai pazienti 24 ore su 24 e svolgono attività in moltissimi ambiti che possono variare dall’elisoccorso all’assistenza domiciliare. Nell’emergenza covid-19 hanno avuto un ruolo fondamentale e in molti casi hanno subito il contagio pagando in prima persona, anche con la vita, per il loro impegno professionale.

Gli infermieri e gli applausi dai balconi
Per protestare contro l’indifferenza delle istituzioni è nato sulla rete il Movimento Nazionale Infermieri con oltre 36 mila iscritti. Una iniziativa che si pone in modo trasversale rispetto alle sigle sindacali e politiche. E’ nata così l’idea di scendere in piazza per il flash mob che si è svolto ieri in 32 piazze italiane. A Roma in Piazza del Popolo.
Quali sono le richieste del movimento? La prima è quella del riconoscimento economico. Non è possibile che un professionista con responsabilità così elevate guadagni poco più di un operaio. Per questo è necessario uscire dall’area del comparto sanità con la creazione di un’area contrattuale specifica. L’area del Comparto infatti comprende tutti gli operatori (sanitari, tecnici e amministrativi) e non consente di valorizzare la specificità della professione infermieristica.
L’area contrattuale separata deve consentire anche di affrontare e risolvere problemi che si trascinano da anni come il superamento del vincolo di esclusività, l’adeguamento delle indennità, il riconoscimento delle competenze specialistiche, la valorizzazione dei percorsi di studi post laurea e la lotta al demansionamento.
Quello del demansionamento è uno dei temi principali. Oggi un infermiere svolge mediamente attività improprie per il 30% del suo tempo di lavoro. In alcune realtà tale percentuale può arrivare fino al 70% della giornata lavorativa. Si tratta spesso di mansioni di tipo esecutivo o di tipo amministrativo dovute alla mancanza di altre figure professionali. Questo comporta la necessità di adeguare le dotazioni organiche aumentando il numero degli infermieri (nel Lazio ne mancano oltre 3 mila) e assumendo operatori di supporto (OSS) in numero adeguato.
Nel Lazio ne mancano tremila
Occorre anche superare il precariato, scorrendo le graduatorie dei concorsi e combattere il fenomeno dello sfruttamento mediante contratti atipici e cooperative. Un infermiere a partita IVA svolge le stesse attività del collega strutturato senza diritti e per una cifra pari (a volte addirittura inferiore) rispetto a quella di una babysitter. Questo non può essere consentito in uno stato di diritto. Altro problema annoso è quello della disparità di trattamento tra infermieri dipendenti pubblici e privati. E’ necessario ottenere l’equiparazione ai fini lavorativi ed economici.
Basta pacche sulle spalle
Basta applausi e pacche sulle spalle. Gli infermieri non vogliono più sentire storie di premi covid da pochi euro e promesse non mantenute. L’emergenza da coronavirus ha consentito di vedere in quali condizioni sia stato ridotto il SSN dopo anni di tagli e di austerità. Ha anche messo in luce il valore dei professionisti della sanità, che sono la principale risorsa da cui ripartire. Serve però un cambio di passo immediato e una riprogrammazione del SSN per le sfide del futuro. Ma questo Governo (nazionale e regionale) sarà all’altezza della situazione? La disastrosa gestione dell’emergenza pandemia non lascia spazio a dubbi. Se il buongiorno si vede dal mattino c’è poco da stare allegri. E’ tempo di cambiare.