La leggenda del supplì: tutto ciò che non sapevi sul fritto di Roma

Roma, festa del supplì

Basta addentarlo per capire tutto: il supplì non è solo un fritto romano, ma il risultato di una storia lunga due secoli, nata dall’incontro tra la cucina popolare della città e una sorprendente influenza francese. Quel cuore filante di mozzarella, oggi scontato, è arrivato molto dopo. All’inizio, dentro quella crocchetta c’era un’idea molto diversa. E, soprattutto, un nome che non aveva nulla di romano.

Dalle truppe francesi all’Ottocento romano

Le prime tracce del supplì compaiono nei decenni dell’occupazione francese a Roma, agli inizi dell’Ottocento. In quegli anni i soldati francesi portarono con sé una tipologia di crocchetta impanata, chiamata surprise per via del ripieno nascosto. A forza di passare di bocca in bocca, quel surprise venne storpiato in “sopplì”, poi “supplì”: una trasformazione linguistica che racconta meglio di qualsiasi manuale la capacità dei romani di ribattezzare tutto ciò che entra nella loro cultura gastronomica.

Nelle prime comparsate sui menù dell’epoca – la più antica è documentata nel 1847 alla Trattoria della Lepre, in via dei Condotti – il supplì non era ancora il boccone di riso e mozzarella che conosciamo. Nel ripieno comparivano spesso rigaglie, carne, provatura: un mondo lontano dal rosso acceso del sugo d’oggi, ma già con quell’anima popolare che lo avrebbe reso immortale.

A confermarlo sono i ricettari dei primi del ’900, come quello di Adolfo Giaquinto, dove compaiono supplì compatti, asciutti, senza “telefono”, veri antenati del fritto moderno. Per trovare una forma più vicina all’attuale bisogna arrivare al 1929, quando Ada Boni propone una versione a base di riso cotto nel sugo, burro, uova e parmigiano. Mancava ancora la mozzarella, ma ormai la strada era segnata.

Il supplì “al telefono”

A trasformare definitivamente il supplì in un simbolo della Capitale è stata la strada. I “supplittari”, con le loro padelle fumanti, lo portarono in tutte le feste rionali e nei mercati popolari. Poi arrivarono le pizzerie: e da lì non se n’è più andato.

La sua forma moderna nasce nel Novecento, quando la ricetta si arricchisce del pezzo di mozzarella al centro. Al primo morso i due lembi di pasta filano come i fili di un vecchio telefono: un’immagine così iconica da regalare alla pietanza il nome con cui oggi la conoscono tutti, il supplì al telefono.

Riso carnaroli, sugo tirato al punto giusto, uova che legano, una panatura croccante e la mozzarella che fonde senza cedere acqua: sono questi gli ingredienti che oggi definiscono il supplì perfetto. Un equilibrio semplice solo in apparenza, che lo ha reso il più popolare fra i fritti romani. Ancora oggi si mangia per strada, nelle pizzerie, ai banconi delle friggitorie: un rito che attraversa generazioni e quartieri.

Il supplì, insomma, è la dimostrazione che la tradizione romana sa assorbire influenze straniere, trasformarle e restituirle al mondo con una personalità inimitabile. Un piccolo capolavoro di cultura popolare, nato per caso e diventato, senza mai volerlo davvero, un simbolo di Roma quanto il Colosseo.