La speranza si chiama Enea: la favola a lieto fine di Pasqua

Enea

«Ciao, mi chiamo Enea. Sono nato in ospedale perché la mia mamma voleva essere sicura che era tutto ok e stare insieme il più possibile». Usa queste dolci parole la lettera trovata accanto al bimbo lasciato nella Culla per la vita del Policlinico di Milano.

L’allarme per il personale della neonatologia è scattato nel giorno di Pasqua, poco prima di mezzogiorno. I medici si sono trovati davanti un neonato di circa 2,6 kg di etnia caucasica, in buona salute. Accanto la lettera, che esordisce come se a parlare fosse il bambino, ma è firmata mamma. Una mamma che usa parole di grande affetto, spiegano dall’ospedale. A quanto si apprende, parla di coccole, dice di volergli molto bene, ma di non potersi occupare di lui. Racconta che il bimbo «è super sano, tutti gli esami fatti in ospedale sono ok».

Le culle della vita: una speranza per Enea e per altri neonati abbandonati

Si trova in un angolo discreto in un cono d’ombra al riparo dall’occhio indiscreto delle telecamere, superato un ingresso più appartato per raggiungere la clinica Mangiagalli. E’ un ambiente protetto e riscaldato ed è strutturata in modo da avvisare immediatamente il personale sanitario: una volta che il bimbo viene accolto al suo interno, passati circa 40 secondi che danno al genitore il tempo di allontanarsi, un allarme discreto avvisa medici e infermieri della Neonatologia che possono prendersi cura del piccolo entro pochissimi minuti.

E’ qui che negli anni sono stati lasciati Mario, Giovanni, e ora Enea, a cui la mamma ha detto addio oggi nel giorno di Pasqua, lasciandogli accanto una lettera. La culla per la vita del Policlinico di Milano viene inaugurata nel 2007, è attiva da 16 anni. La luce illumina solo una piccola saracinesca, qui si trova questo sistema hi-tech che mette il bebè abbandonato subito al sicuro. I medici della maternità più frequentata della metropoli ci hanno sempre tenuto a precisarlo: “Non è una ‘ruota degli esposti’, è molto di più”.

La culla per la vita di Milano non è una ruota degli esposti

La mamma che sceglie di lasciare il suo bebè deve solo schiacciare un pulsante. La saracinesca si alza e c’è una moderna incubatrice dove riporre il neonato, al caldo. La temperatura è di 37 gradi. Il primo bebè salvato con questo sistema è stato Mario. Era un giorno di inizio luglio 2012. Il piccolo era leggerissimo, nato prematuro (i medici stimavano alla 35esima settimana) pesava appena 1,7 chili e aveva un’età apparente di 6-7 giorni. Vicino al bebè era stato lasciato un biberon con del latte materno e un paio di tutine. Piccoli segni di attenzione, presenti in ognuna di queste storie.

Nel caso di Enea una lettera scritta in italiano, con parole che lasciano trasparire l’affetto e la difficoltà della mamma a separarsi da lui. Gli specialisti che si sono presi cura di lui hanno pensato che fosse nato in casa perché non sembrava avere segni di punture nel piedino (la modalità con cui si fanno i controlli di routine ai neonati appena venuti al mondo in ospedale.

“Lo chiameremo Mario – aveva annunciato il primario di allora, Basilio Tiso – perché oggi (era il 6 luglio, ndr) si festeggia Santa Maria Goretti e si chiamerebbe inoltre come due protagonisti di questi giorni, il calciatore Balotelli e Monti”, a quei tempi premier. Giovanni aveva invece già due mesi quando è stato lasciato nella culla per la vita del Policlinico l’1 febbraio 2016. La sua data di nascita (un giorno di novembre) era nota perché insieme al bambino c’era un cartellino che riportava questa informazione, e informazioni sui vaccini. Il piccolo era ben accudito, hanno raccontato i medici: era pulito e ben vestito, pesava 5,8 kg. Capelli scuri, pelle olivastra, non sembrava di origini italiane.

Il bambino abbandonato ieri a Milano, invece, a giudicare dalla lettera, potrebbe essere figlio di italiani. Pochi giorni dopo quanto scritto drasticamente da Elon Musk sulla denatalità italiana (“L’Italia sta sparendo”) sembra un segnale, un barlume nelle tenebre. Ecco perché possiamo scriverlo a ragion veduta: la speranza si chiama Enea.