La Via Crucis delle polemiche. E la Tv Ucraina oscura il Papa

 «Di fronte alla morte, il silenzio è più eloquente delle parole. Sostiamo pertanto in un silenzio orante. Che ciascuno nel proprio cuore preghi per la pace del mondo». Tredicesima stazione, Gesù muore. La meditazione prevista non viene letta, Francesco ascolta l’invito che la sostituisce e prega in silenzio a capo chino. Dal Colle Palatino assiste alla Via Crucis mentre migliaia di fiaccole rischiarano il Colosseo e l’ucraina Irina e la sua amica russa Albina reggono insieme la Croce, le mani aggrappate all’asse verticale si sfiorano:  un simbolo che vale più di mille parole. Un segno di pace, dopo le proteste dall’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede. Con il primo testo pubblicato considerato «ambiguo» e «perfino offensivo» anche dall’arcivescovo greco-cattolico di Kiev. I media cattolici ucraini online e le tv nazionali hanno deciso di non trasmettere la Via Crucis del Papa. La Santa Sede non aveva replicato nulla alle richieste di modifica del testo «scritto dalle famiglie». Tra l’altro, si interrogava sui due popoli e “quanto sarà difficile riconciliarci», diceva:«Dove sei Signore? Vogliamo la nostra vita di prima… Perché hai abbandonato i nostri popoli?” Ecco, era stato proprio quel riferimento al dolore e alla sofferenza dei popoli, ad essere stato giudicato troppo equidistante. E a suscitare proteste e polemiche.

La protesta formale e il cambio di programma. Nella Via Crucis di ieri due donne russa e ucraina reggono la Croce in silenzio

Poi è stato il Papa a leggere la preghiera finale prima della benedizione. «Signore, converti al tuo cuore i nostri cuori ribelli perché impariamo a seguire progetti di pace; porta gli avversari a stringersi la mano, perché gustino il perdono reciproco; disarma la mano alzata del fratello contro il fratello, perché dove c’è l’odio fiorisca la concordia».

Nel pomeriggio di ieri il cardinale Konrad Krajewski, inviato in Ucraina dal Papa «come segno della sua presenza», si è inginocchiato ai margini di una fossa comune a Borodjanka, a nord ovest di Kiev. Con la tunica talare sporca di terra accanto ai badili piantati sul bordo, una Via Crucis attraverso la devastazione di Bucha, Irpin e quella cittadina rasa al suolo dai bombardamenti russi. Lungo le strade ci sono ancora cadaveri avvolti in teli di plastica e lui si è chinato a sfiorare con la mano i corpi, un segno della Croce, una benedizione.«Abbiamo trovato ancora tanti morti e una tomba di almeno 80 persone, sepolte senza nomi», racconta, la voce rotta dall’emozione. «E mancano le lacrime, mancano le parole. Meno male che c’è la fede». Il dolore del Venerdì Santo: «lo so, lo so: ci sarà la Domenica di Resurrezione. E forse Lui ci spiegherà tutto con il suo amore, e cambierà tutto anche dentro di noi, tutta questa amarezza e questa sofferenza».