Ladispoli, l’ex casale colonico ‘trasformato’ in due ville con il Piano Casa: stangata del Comune
A Ladispoli, alle porte di Roma, una vicenda edilizia iniziata nel 2016 si chiude con una sentenza che farà discutere. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha infatti respinto i ricorsi presentati da alcuni privati contro il Comune di Ladispoli, confermando la legittimità del provvedimento comunale che aveva bloccato – negando la SCIA, Segnalazione Certificata di Inizio Attività – la bontà di due ville sorte al posto di un antico casale agricolo dell’ex Ente Maremma. L’intervento era stato giustificato dai proprietari come un progetto di “sostituzione edilizia” in base al Piano Casa della Regione Lazio. Ma per il Comune di Ladispoli si trattava, di fatto, di una lottizzazione residenziale non consentita in zona agricola. E il TAR gli ha dato ragione.
Ladispoli, il Piano Casa e il limite del 20%
Tutto parte nel dicembre 2016, quando i proprietari presentano una SCIA (Segnalazione certificata di inizio attività) per demolire un vecchio casale, risalente agli anni Cinquanta, e ricostruire due abitazioni indipendenti. Il Piano Casa – la legge regionale 21/2009 – consente ampliamenti fino al 20% della cubatura esistente, ma solo mantenendo “l’unitarietà dell’edificio originario” e i caratteri rurali dell’architettura agricola. Secondo i tecnici comunali, invece, il progetto violava questi principi: non solo raddoppiava le unità immobiliari, ma introduceva volumi e pertinenze eccedenti i limiti ammessi. Il Comune di Ladispoli, dopo vari approfondimenti tecnici, decise nel 2018 di non accogliere la SCIA.
La battaglia legale e il “verdetto” della Sapienza sull’ ex casale colonico di Ladipoli
I proprietari impugnarono il provvedimento, sostenendo che l’intervento rispettava la normativa e che l’amministrazione aveva agito tardivamente, annullando d’ufficio una pratica ormai consolidata. Ma il Tar ha respinto ogni rilievo. Per chiarire i dubbi tecnici sulla volumetria, nel 2024 i giudici hanno chiesto una perizia indipendente al Dipartimento di Ingegneria Civile de “La Sapienza”. Il verificatore ha stabilito che le nuove costruzioni superavano i volumi di pertinenza consentiti. In particolare, le cubature dei piani interrati e delle pertinenze superavano i limiti del Piano Casa, rendendo l’intervento non conforme alla legge.
La perizia, definita “tecnicamente esaustiva e coerente”, è stata decisiva: il TAR ha confermato che le nuove ville non erano una semplice “sostituzione edilizia”, ma una trasformazione urbanistica vietata in zona agricola.
“Violata l’identità rurale”
Nella motivazione della sentenza si legge che l’opera “contrasta con le caratteristiche rurali dell’originario casale colonico” e che la scelta di realizzare due fabbricati distinti “rompe l’unitarietà edilizia richiesta dal Piano Casa”.
Il Tar richiama inoltre i pareri della Regione Lazio, secondo cui la legge regionale non consente, in zona agricola, di aumentare il numero delle unità abitative né di alterare la tipologia costruttiva tradizionale. La ratio della norma, spiegano i giudici, è “favorire la rigenerazione dei fabbricati rurali degradati, non la loro trasformazione in residenze moderne con volumetrie aggiuntive”.
Il Comune di Ladispoli, dunque, ha agito correttamente nel bloccare i lavori e nel disporre la demolizione delle opere già realizzate “allo stato rustico”, secondo il Tribunale.
Le conseguenze urbanistiche
La decisione rappresenta un segnale forte per tutto il litorale romano, dove molti ex poderi dell’Ente Maremma sono stati negli anni oggetto di interventi analoghi, spesso al limite tra recupero edilizio e speculazione immobiliare.
Il TAR sottolinea che il Piano Casa non può diventare uno strumento per urbanizzare zone agricole, aggirando i vincoli del piano regolatore. La tutela del paesaggio rurale, in questo caso, prevale sul diritto all’ampliamento invocato dai privati.
La “stangata” potrebbe ora fare da precedente per altre vertenze simili, in particolare lungo l’asse costiero tra Cerveteri e Fiumicino, dove i controlli edilizi sono sempre più serrati.
Traffico e vivibilità
Sul piano locale, la vicenda ha acceso i riflettori anche su un altro aspetto: l’impatto urbanistico degli insediamenti residenziali nelle zone agricole di Ladispoli. La costruzione di nuove ville isolate, spesso raggiungibili solo da strade poderali, crea infatti problemi di accesso, fognature e viabilità.
Il Comune, nel giustificare la propria decisione, ha richiamato anche la mancanza di infrastrutture adeguate e il rischio di un aumento “insostenibile del carico insediativo” in aree prive di urbanizzazione primaria.
Una lezione per il futuro
La sentenza chiude anni di contenzioso ma apre una riflessione più ampia sull’uso del Piano Casa e sulla tutela del paesaggio agrario.
Ladispoli, come molti comuni del Lazio, è chiamata a bilanciare sviluppo edilizio e sostenibilità, evitando che le eccezioni diventino regole. Non si tratta di bloccare chi vuole ristrutturare ma di impedire che le campagne si trasformino in quartieri residenziali mascherati da case coloniche.
Una frase che riassume il senso profondo della vicenda: la linea tra recupero e abuso, in certe zone del litorale, è sottile. Ma dopo questa sentenza, anche un casale demolito può diventare il simbolo di una rinnovata attenzione al territorio. Resta saldo, per i proprietari degli immobili, di presentare il ricorso di secondo grado al Consiglio di Stato contro tale sentenza.