L’appello degli infermieri del Sant’Andrea di Roma: malgrado l’emergenza, ancora non ci chiamano

infermieri (2)

“Siamo gli ultimi 2.604 infermieri idonei del concorso pubblico regionale gestito dall’Azienda ospedaliera Sant’Andrea di Roma. Che ad oggi, nonostante l’emergenza scaturita dalla pandemia di Sars-Cov-2 e la cronica e preesistente carenza di personale infermieristico sul territorio della Regione Lazio, non hanno ancora visto riconosciute le posizioni guadagnate di diritto nella relativa graduatoria. E neanche le legittime aspettative di un’assunzione che di tale graduatoria tenga conto”. Lo scrive all’Adnkronos Salute il Movimento permanente infermieri, che ricostruisce la vicenda. “Con la nostra protesta vogliamo che venga garantito il diritto da noi acquisito con l’aver superato positivamente tutte le prove selettive di un lungo e regolare concorso”.

Così si favorisce il precariato tra gli infermieri

“Per fronteggiare la carenza di personale infermieristico, gli Enti del sistema sanitario della Regione Lazio continuano a promuovere avvisi pubblici. Manifestazioni d’interesse e appalti in favore di cooperative sociali operanti anche nelle pubbliche strutture e aziende ospedaliere, incentivando di fatto il precariato. Eppure, già a fine 2019 il ministro della Salute – ricordano gli infermieri – annunciava l’ok allo scorrimento delle graduatorie inerenti personale sanitario specializzato, da inserire nella Pubblica amministrazione, per combattere più rapidamente la carenza di personale”. Ma, segnala il Movimento permanente infermieri, “ad oggi le unità assunte non bastano neppure a sopperire alle uscite dovute al blocco del turn over.

Conseguenza sono le chiusure dei reparti ospedalieri

L’inevitabile conseguenza sono chiusure e accorpamenti di reparti ospedalieri, Hub, centri specialistici e Case della salute per le cure primarie”. La graduatoria a cui fanno riferimento gli operatori “è composta da 7.474 professionisti. Di questi 4.870 sono stati chiamati a prendere servizio a tempo indeterminato, grazie alla lotta degli stessi infermieri”. “Molti sono stati assunti attingendo dalla graduatoria del Sant’Andrea presso le aziende in cui prestavano servizio grazie alla trasformazione del contratto di lavoro in essere da tempo determinato a indeterminato, alcuni anche extraregione”. Ma più di 2.600 stanno ancora aspettando. La Fnopi, la Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche, ha fatto dei calcoli.

Istituire gli infermieri di comunità e di famiglia

Per far fronte sul territorio al bisogno di salute di pazienti affetti da patologie croniche e non autosufficienti (circa 16 milioni di persone), oltre ai medici di medicina generale, occorrono almeno 31.000 infermieri di comunità e di famiglia. Secondo il nuovo piano di investimenti per il Ssn, illustrato dal ministro Speranza durante la presentazione del decreto Rilancio (legge 77/2020), una parte di questi fondi è destinata proprio all’assunzione di 9.600 infermieri di comunità o di famiglia. “Alla luce di ciò, riteniamo che la nostra chiamata, oltre ad essere un diritto raggiunto a seguito del superamento della selezione di un regolare concorso – rivendicano gli infermieri – costituirebbe un vantaggio per i tanti pazienti del territorio.

Il sovraffollamento degli ospedali è troppo frequente

I quali, grazie all’intervento dell’infermiere di comunità e di famiglia, potrebbero finalmente riavere gli strumenti della medicina territoriale ad oggi cancellata. Soprattutto nelle regioni del sud ospedalocentriche. Il caso eclatante dell’emergenza coronavirus ha messo in risalto questo aspetto. Ma anche in condizioni di normalità, senza quindi una pandemia in atto, il sovraffollamento degli ospedali in alcuni periodi dell’anno è purtroppo molto frequente”. “Creando una rete di infermieri di comunità, ben strutturata e ramificata, si fornirebbe un grande supporto alle strutture ospedaliere. Se la sanità pubblica è un ombrello, l’infermiere di comunità e di famiglia rappresenta il suo manico, ciò che lo sostiene e rende più forte e stabile.

Sono 8 unità ogni 50.000 abitanti gli infermieri di comunità previsti dalla Legge 77/2020. Nella Regione Lazio si parla di 970 unità circa, al netto dei reali bisogni assistenziali del territorio. Rivendichiamo, dunque – rimarcano gli infermieri – il posto di lavoro stabile e a tempo indeterminato. Solo così si potrà garantire la qualità dell’assistenza e colmare finalmente il gap provocato dalle sbagliate politiche di commissariamento e blocco del turn over. È ora di lanciare l’infermiere di comunità. I bisogni dei pazienti non possono più aspettare”.