Latina, il mare si mangia la spiaggia: chiude lo storico Lido di Nausicaa. “Ci arrendiamo, addio sogni” (FOTO)

Non è stato il calo di turisti, né una crisi economica a decretare la fine del Lido di Nausicaa, sul Lungomare di Capo Portiere a Latina. È stato il mare. Un morso alla volta, l’erosione costiera si è presa tutto: la spiaggia, la speranza e infine l’attività di una vita. Dove un tempo c’erano file ordinate di ombrelloni e lettini, oggi resta solo una striscia sottile di sabbia, troppo fragile per sostenere un’estate. Il titolare dello stabilimento ha deciso di gettare la spugna, annunciando sui social la chiusura definitiva con un messaggio che è un misto di rabbia, rassegnazione e amore per ciò che è stato.
Il Lido travolto dalle onde: “Speravo in un miracolo, ma era finita”
Piogge intense, mareggiate devastanti e nessun intervento strutturale a proteggere quel tratto di costa. Così, negli anni, il Lido di Nausicaa ha visto il suo spazio vitale ridursi sempre più, fino a scomparire. L’ultimo colpo, quello fatale, è arrivato nella notte tra il 29 e il 30 marzo 2024, quando una mareggiata ha distrutto definitivamente l’area balneare. Da allora, il sogno è rimasto solo nei ricordi. “Non c’è più la Materia Prima, sua maestà la Sabbia – scrive il gestore – e senza di lei non si va avanti”.

L’addio del titolare: “Mi arrendo, ma non è colpa mia”
“Non mi manca il coraggio, né la voglia di continuare – ha scritto con amarezza – ma non ci sono più le condizioni minime per aprire. Ho sperato fino all’ultimo che qualcosa cambiasse, che arrivasse un segnale, un intervento, un miracolo. Ma niente”. Parole che suonano come una denuncia. Perché mentre il mare avanza, le istituzioni arretrano o restano immobili. “Non ringrazio chi si è solo riempito la bocca di promesse – conclude – ma ringrazio ogni membro dello staff e ogni cliente che ci ha creduto fino alla fine”.
Un caso emblematico dell’emergenza erosione
La storia del Lido di Nausicaa è tutt’altro che isolata. Il litorale pontino, così come quello romano, è tra i più colpiti in Italia dal fenomeno dell’arretramento costiero, eppure gli interventi strutturali sono pochi e spesso in ritardo. A pagare il prezzo più alto sono imprenditori, famiglie e comunità locali, che vedono scomparire sotto le onde pezzi di economia, identità e paesaggio.
Le cause dell’erosione costiera
L’erosione costiera non è un evento improvviso, ma il risultato di diversi fattori che si combinano nel tempo. Le mareggiate sempre più frequenti e violente, favorite dal cambiamento climatico, aggrediscono la spiaggia con onde che erodono la sabbia e danneggiano gli arenili. Al tempo stesso, l’estrazione di sabbia per l’industria edilizia e lo svuotamento dei dune protettive compromette ulteriormente la tenuta del litorale. La riduzione del sedimento disponibile impedisce la naturale rigenerazione delle coste, lasciando gli stabilimenti e le infrastrutture esposti all’azione del mare.
A queste cause naturali e antropiche si aggiunge una pianificazione urbanistica spesso inadeguata: opere di difesa arretrate, lungomare cementificati e canali di scolo senza sistemi di laminazione spalancano la strada alle acque alte, accelerando l’avanzata del mare. La scomparsa della spiaggia di Nausicaa è solo l’ultimo, emblematico, capitolo di una storia che riguarda molte località marine del centro-sud Italia.
Le soluzioni possibili: dalla duna viva al ripascimento
Per arginare questo fenomeno servono interventi coordinati e duraturi. Il ripascimento, ovvero l’apporto artificiale di sabbia selezionata e compatibile con l’ecosistema locale, è una tecnica ormai consolidata nelle spiagge europee. In Francia e Inghilterra, per esempio, progetti pluriennali di ripascimento hanno permesso di riportare alla forma originaria coste fragili, proteggendo stabilimenti e abitazioni.
Altra leva fondamentale è la tutela delle dune naturali. Le piante pioneristiche (come i ginepri di mare) trattengono il sedimento e attenuano la forza delle onde. Un sistema di passerelle sopraelevate, come hanno fatto a Marina di Ravenna, limita il calpestio e favorisce la ricostituzione della duna. In parallelo, è essenziale ripensare la gestione delle acque, con bacini di laminazione a monte che riducano la portata dei fiumi in mareggiate o nubifragi.

