Latina, morto l’uomo contagiato dalla moglie (separata) deceduta anni prima

È morto l’uomo di Latina che, anni prima, era stato contagiato dal virus dell’epatite C dalla moglie separata. La donna, portatrice del virus, non gli aveva mai rivelato la sua condizione, portando con sé il segreto fino alla tomba. Dopo 36 anni, l’uomo ha scoperto di essere infetto, ma ormai era troppo tardi: la malattia, rimasta silenziosa per decenni, si era evoluta in cirrosi prima e in epatocarcinoma poi, strappandogli la vita.
La scoperta tardiva e la corsa contro il tempo
Quando finalmente gli è stata diagnosticata l’epatite C, l’uomo aveva già iniziato a manifestare i sintomi di una patologia in fase avanzata. Nonostante le cure tardive, la malattia era ormai irreversibile. La sofferenza è stata accompagnata da un interrogativo: come aveva contratto il virus?

I medici gli avevano spiegato che i contagi più comuni avvengono attraverso trasfusioni di sangue, chirurgia invasiva, scambio di siringhe o rapporti sessuali a rischio. L’uomo, determinato a scoprire la verità, si è affidato all’avvocato Renato Mattarelli, che ha ricostruito l’origine del contagio: la moglie, deceduta anni prima, era stata infettata da trasfusioni di sangue nel lontano 1982. Ma gli aveva taciuto di essere stata contagiata.
Vittoria amara contro il Ministero della Salute
Nel 2022, l’uomo è riuscito a ottenere un risarcimento record di 600mila euro dal Ministero della Salute. La causa, lunga e complessa, ha portato alla luce un dato schiacciante: la moglie aveva contratto l’epatite C tramite trasfusioni non controllate e, negli ultimi mesi di convivenza prima della separazione, aveva trasmesso il virus al marito.
Nonostante il basso rischio di contagio sessuale per l’epatite C, l’uomo rientrava in quella percentuale di possibilità, come dimostrato dagli avvocati. Quella cifra, ottenuta con fatica, avrebbe dovuto garantire un futuro sereno, ma la malattia non gli ha lasciato scampo.
Nuova battaglia per gli eredi
Ora, a combattere sono i figli dello sfortunato uomo. Hanno avviato un procedimento per ottenere un primo indennizzo di 75mila euro previsto dalla legge 210/1992 e stanno preparando una nuova causa contro il Ministero della Salute. Il loro obiettivo? Dimostrare che i controlli mancati sulle trasfusioni di sangue nel 1982 hanno causato una catena di eventi tragici. I figli chiedono giustizia per entrambi i genitori, sostenendo che se quelle trasfusioni fossero state sicure, la madre non sarebbe stata contagiata e il padre sarebbe ancora vivo. Ora la famiglia è determinata a ottenere il riconoscimento delle responsabilità da parte del Ministero.