Le “Royalty” di Gualtieri: un rischio per gli stabilimenti di Ostia e qualcuno scrive all’Anac

Il Campidoglio rischia di lasciare nel caos i concessori degli stabilimenti balneari di Ostia a causa di “atti adottati a partite dal 2024 giuridicamente nulli e privi di fondamento normativo”: è la rivelazione dell’avvocato amministrativista Fabio Maria Vellucci.
L’avvocato, specializzato in diritto amministrativo ed esperto in diritto demaniale, ha già passato in rassegna i financing project approvati dal Comune di Gaeta, riuscendo a bloccare le iniziative (pagate con soldi pubblici) con l’obiettivo di aggirare la direttiva europea Bolkenstein nel comune pontino.

Con lo stesso metodo, Vellucci ha controllato la situazione anche nei comuni vicini e lo stato dei bandi concessori delle spiagge della Capitale. Il risultato ottenuto da Vellucci? È una doccia fredda.
Dalla Direttiva Bolkenstein all’Anac
“Crolla la presunta legittimità degli atti adottati da Roma Capitale a partire dal 2024”, spiega l’avvocato.
Tutto ruota attorno all’imminente applicazione della Direttiva europea Bolkenstein (o meglio la Direttiva Servizi 2006/123/CE) che nel lontano 2006 ha imposto la libera concorrenza e il divieto di rinnovi automatici delle concessioni sui servizi. Tra questi, e tra mille polemiche, rientrano anche le spiagge.
Il lavoro di Vellucci non è stato fine a se stesso, ma si è concretizzato in un esposto alla Capitaneria di Porto di Civitavecchia e uno all’Autorità nazionale anticorruzione (Anac).
Cosa dice il Consiglio di Stato
“Le concessioni a Ostia ignorano deliberatamente la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha più volte ribadito l’incompatibilità di proroghe generalizzate con il diritto comunitario disattendendo la sentenza n. 17/2021 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che ha sancito la fine della validità automatica delle concessioni balneari in assenza di procedure selettive ad evidenza pubblica”, continua Vellucci.
In altre parole. In base alle sentenze del Consiglio di Stato numero 17 e 18 del 2021, le concessioni demaniali devono essere sottoposte all’attenzione della direttiva Bolkenstein, quindi tutte le proroghe automatiche di rinnovo delle concessioni demaniali di cui all’articolo 37 del Codice della Navigazione sono illegittime, compreso l’articolo 3 della legge 118 del 2022, legge Draghi, per intenderci. “Le stesse sentenze invitavano l’Esecutivo a fare un riordino della materia il prima possibile, in quanto tutte le concessioni demaniali vigenti al 2021, dovessero scadere il 31 dicembre 2023. Non ci possono essere altre proroghe”, spiega il legale.
Un problema per la sicurezza
Questo cosa comporta? “I gestori degli stabilimenti, non essendo detentori di una concessione, ma occupanti di un’area demaniale, non sono i responsabili della sicurezza dei bagnanti che, invece, va a capo al Comune di Roma Capitale. Pesa l’assenza di un piano organico per la sicurezza balneare, responsabilità che oggi grava integralmente sui Comuni, i quali però appaiono giuridicamente e funzionalmente impreparati a reggere tale carico”, risponde l’avvocato.
A Roma manca il PUA
Il Comune di Roma Capitale può regolamentare le concessioni solo in base al Piano di utilizzo degli arenili (Pua) valido solo dopo l’approvazione del Puar (piano utilizzo arenili regionale) che, a sua volta, è direttamente collegato al Codice della Navigazione. Ma questo deve essere coerente con i decreti legge nazionali e con le sentenze della Corte Suprema di Cassazione che, a loro volta, prendono i loro passi dalle direttive europee come ad esempio la Bolkenstein.
Quindi con la Delibera di Giunta Capitolina n. 136/2024, seguita dalla n. 44/2025 e dagli avvisi pubblici 4481 e 4788 del 2025, Gualtieri ha regolato il rilascio delle concessioni balneari. Ma secondo Vellucci, si tratta di un impianto giuridicamente inesistente, perché il Piano di Utilizzazione degli Arenili a Roma non è mai stato approvato.
“Secondo la DGR Lazio 1161/2001 e la Delibera del Consiglio Regionale n. 9/2021, senza un PUA regolarmente approvato non è giuridicamente possibile delimitare le aree concessibili. Eppure il Comune ha proceduto a rilasciare concessioni, inventando per via amministrativa ciò che urbanisticamente non esiste”, sottolinea l’avvocato.
Le “royalty” di Gualtieri
“Altro punto critico è la presunta procedura comparativa adottata dalla DGC 44/2025. In teoria, dovrebbe garantire trasparenza e concorrenza. In realtà, favorisce chi può offrire la maggiore somma al Comune, sotto forma di una cosiddetta “royalty”, mutuata arbitrariamente dalla terminologia della proprietà intellettuale.
Questa “royalty” – secondo Vellucci – non ha alcun fondamento nel diritto amministrativo dei beni pubblici: si tratta di una prestazione patrimoniale imposta per ottenere un bene demaniale, dunque un corrispettivo anomalo e probabilmente illecito”. Ma a questa tesi risponderà l’Autorità Anticorruzione. Intanto, secondo Vellucci, “le graduatorie provvisorie emanate su questa base producono effetti reali: escludono operatori, favoriscono altri, determinano la futura assegnazione di beni pubblici. Tutto ciò avviene sulla base di atti che mancano dei presupposti normativi, creando un paradosso giuridico: l’illegittimità formale degli atti non impedisce loro di produrre effetti materiali”.