Leonardo Lamma, il papà del 19enne morto a corso Francia: “Quell’incidente non era una fatalità: vorrei la gogna per chi ha nascosto la verità”

Leonardo Lamma

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“Credo che volessero sin dall’inizio far passare la morte di mio figlio per una fatalità”. È con questa amara verità che Stefano Lamma apre il suo racconto. A distanza di tre anni dall’incidente che, il 7 aprile 2022, ha strappato via Leonardo Lamma, 19 anni, mentre transitava in sella alla sua moto su Corso Francia, la Procura di Roma ha finalmente iscritto cinque persone nel registro degli indagati, tutte accusate di omicidio stradale per condotte colpose che si sarebbero sommate fino a quel tragico epilogo. Ma Stefano non si accontenta: vuole mettere alla berlina, in modo simbolico, chi, a suo dire, ha nascosto la verità, negando ogni responsabilità. E non si tratta solo delle 5 persone indagate. Ma anche chi avrebbe impedito o rallentato il corso della giustizia. Che comunque ancora deve pronunciarsi. Ma Stefano non accetta che la morte del figlio venga liquidata come uno “sfortunato incidente”.

Morte Leonardo Lamma, il padre chiede verità e giustizia

«Noi lo abbiamo fatto per nostro figlio, ma Leonardo potrebbe essere il figlio di chiunque. Perché al suo posto poteva trovarcisi chiunque altro. E queste cose non devono accadere mai più», tuona Stefano, tra la rabbia e il dolore che non accennano a placarsi. Nel silenzio di un evento che ha scosso intere famiglie, ha trovato parole che suonano come un monito: «Quello che vorremmo è “mettere alla gogna” queste persone», spiega, riferendosi ai funzionari e ai tecnici che avrebbero dovuto garantire la sicurezza stradale ma, secondo lui, si sono limitati a eseguire lavori di rattoppo frettolosi e inadeguati.

Cinque indagati per omicidio stradale

L’indagine – portata avanti dalla Procura di Roma – ha individuato come possibili responsabili un funzionario del SIMU(Sviluppo Infrastrutture e Manutenzione Urbana), un rappresentante della ditta che eseguì i lavori, il comandante del Gruppo Cassia dei Vigili Urbani e un altro agente dello stesso Municipio. Tutti sono stati iscritti nel registro degli indagati per omicidio stradale, un’ipotesi che si basa sul fatto che, rimuovendo le transenne e lasciando un rattoppo provvisorio, avrebbero creato le condizioni per la caduta fatale di Leonardo. Per Stefano, però, il vero ostacolo non è stato il traffico di Corso Francia, ma «la volontà di risparmiare tempo, di non affrontare il disagio di chiudere per qualche ora la strada, a scapito della vita di un ragazzo».

Il padre di Leonardo ricorda ogni dettaglio. Su Corso Francia, una buca provocata da una tubatura rotta era stata coperta con un rattoppo d’asfalto, lasciato lì senza protezioni. Quella sera si verificò la tragedia. «Quel rattoppo è diventato lo scalino che ha ucciso mio figlio», ricostruisce Stefano, facendo riferimento il video del nuovo perito Lucio Pinchera, che conferma una discontinuità di 5 centimetri sul manto stradale.

Il rattoppo killer e la buca dimenticata

Quel tratto di Corso Francia – racconta ancora Stefano Lamma – non era certo una strada liscia come un biliardo. «Il 31 marzo, tra pioggia e passaggio di mezzi, il rattoppo si è sfaldato, creando un vero e proprio scalino che, a 60 km/h, diventa un nemico mortale», spiega Stefano. Le foto e i video raccolti dai commercianti confermano che, pochi giorni prima dell’incidente, diversi scooteristi avevano già rischiato di cadere su quel rattoppo. Eppure nessuno aveva ritenuto di lasciare i cartelli di pericolo o di intervenire subito con un asfalto definitivo. «Basterebbe poco, sbrigarsi a fare il lavoro a regola d’arte – ribadisce il papà di Leonardo – ma per loro era più importante evitare il traffico. Invece, la buca è rimasta lì, ad aspettare l’incidente».

Non solo Leonardo Lamma

Nel racconto di Stefano riaffiorano altri nomi, come quello di Elena Aubry, ventenne deceduta nel maggio 2018 in via Ostiense, a causa delle radici che dissestavano la strada e che non erano state messe in sicurezza. «Questi incidenti non sono fatalità», sbotta il padre di Leonardo, «sono prevedibili e prevenibili. La morte di Elena si poteva evitare. Come si poteva evitare quella del mio Leonardo». Ogni volta che qualcuno viene travolto da una disattenzione istituzionale, la risposta è la stessa: «archiviare tutto, liquidare il caso come un evento sfortunato». E così, fino a ieri, le strade di Roma Nord hanno continuato a mietere vittime, nel silenzio e nell’impunità.

Un sistema di competenze frammentato

Tra le accuse più dure di Stefano c’è quella di una pubblica amministrazione fatta di scatole cinesi, dove ognuno si occupa del proprio pezzetto e nessuno si assume mai la responsabilità finale. «C’era la competenza di Acea Ato per la tubatura, quella di una ditta per il rattoppo e poi il SIMU per l’asfalto. Risultato? Nessuno che facesse un lavoro completo e sicuro», denuncia. E quando, poche ore dopo la tragedia, la ditta inviata via WhatsApp dalla municipale ha finito il rattoppo, ma qualsiasi documento ufficiale risulterebbe mancante: nessun ordine scritto, nessuna traccia cartacea. «Da padre della vittima, cosa devo pensare?», si chiede, mettendo in luce la carenza di tracciabilità e il rischio di coperture reciproche.

Il dolore e la rabbia della mamma

Stefano Lamma fa poi una considerazione, tornando indietro nel tempo. «Quando è successo l’incidente, sul posto è andata solo mia moglie, perché io ero reduce da un ictus e mi hanno impedito di andare, nascondendomi la gravità della situazione. Mia moglie, comunque, pensava che Leonardo si fosse semplicemente rotto una gamba, non che l’incidente fosse così grave. Arrivata là, una vigilessa, malgrado ci fosse il corpo di nostro figlio coperto e pieno di sangue, le ha detto: ‘Signora, non si preoccupi, ha fatto tutto da solo’. Questa è stata l’accoglienza a una madre che ha appena perso il figlio. Ma come puoi sapere che ha fatto tutto da solo, se non c’eri al momento dell’incidente? Mia moglie, oltre a sentirsi male, si è infuriata. Perché non si possono dire cose del genere in certi momenti”».

E Paola Scaglioni, la mamma di Leonardo, racconta le stesse dinamiche: «Mi dissero che aveva fatto tutto da solo, come se la cosa importante fosse quella e non cosa gli fosse successo».

La speranza di Stefano e il ruolo della magistratura

Nonostante il dolore, Stefano rivendica un piccolo passo avanti: «Finalmente il GIP ha sostituito il perito – un vigile urbano – con un consulente indipendente, e solo allora è venuta fuori la verità». Ma non si illude: «So che non faranno niente a nessuno, ma almeno vorrei il riconoscimento della loro colpa e un po’ di pubblica gogna». Una speranza che si estende anche al ruolo della Procura e della Polizia giudiziaria: «Non può essere la municipale a indagare su stessa. Il PM doveva chiamare la Polizia Giudiziaria della Procura fin dall’inizio», sottolinea.

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