L’orazione funebre per Massimo Anderson di uno dei suoi “ragazzi” di allora

ricordo anderson

Nel trigesimo della scomparsa di Massimo Anderson pubblichiamo l’orazione funebre di uno dei suoi ragazzi, Roberto Rosseti, che oggi ha i capelli bianchi… Ma che era presente al suo saluto insieme a tanti altri ex giovani, persone che hanno fatto carriera politica o persone normali, ma tutti uniti da un insopprimibile senso di comunità, di appartenenza a un ideale ancora vivissimo, ben incarnato da Massimo Anderson.

“Ciao Capo.
Quello che sembrava non potesse o meglio non dovesse mai succedere è accaduto. Ci hai lasciato e ci hai lasciato soli. Ma come, non ci riconosci ? Siamo noi, il tuo esercito, le tue armate, perché, allora, eravamo tanti, eravamo invincibili, eravamo addirittura di più degli iscritti alla Fgci, la federazione giovanile comunista. Quelli più vecchi sono quelli della Giovane Italia, quelli che fanno finta di essere un po’ meno anziani sono quelli del Fronte della Gioventù, le due organizzazioni da te volute, create e dirette per tanti anni. Ci hanno accusato di tutte le nefandezze possibili e immaginabili, eravamo considerati i reazionari incalliti, i picchiatori senza cultura, i ragazzi con la testa voltata soltanto all’indietro ed al passato.

Le innovative proposte del Fronte della Gioventù

Eppure erano nostre le prime proposte per il voto a 18 anni, l’abolizione della leva militare obbligatoria, l’elezione degli studenti e dei genitori nella gestione degli istituti scolastici. Noi non dovevamo parlare perché, secondo i presunti democratici, avevano diritto di esprimere le proprie idee solo chi la pensava come loro. Poi accadeva, nelle elezioni studentesche, di avere più eletti rispetto ai rappresentanti della sinistra. Per questo facevamo paura, perché era incomprensibile che i reietti, quelli che quotidianamente sui giornali venivano rappresentati come gli isolati nell’ambito scolastico, riuscissero a portare in piazza tanti giovani. Recentemente ho trovato un vecchio filmato in super otto che deve essere stato girato da mio padre nei primi anni in cui ci siamo trasferiti a Roma da Genova nel 1960.

Anderson, un capo rispettato

Era un corteo per l’Alto Adige organizzato dalla Giovane Italia e mi ha fatto sinceramente impressione vedere questa marea umana di ragazzi e ragazze, con te in testa, che scendeva da piazza Esedra ed occupava l’intera rete stradale quasi fino al Traforo. Altri tempi, è vero, ma mi è venuto spontaneo fare un paragone con le “sardine” , un fenomeno ingigantito dalla stampa e che, rispetto a quei giovani, non è durato che lo spazio di un mattino. Sai benissimo che a tutti voi, a te, Pietro Cerullo, Alberto Rossi, Stefano Delle Chiaie avevamo dato dei soprannomi perché noi, quegli uomini liberi che avete creato, amavamo anche scherzare. Eravate i nostri capi, quindi avevamo per voi un grande rispetto, ma eravamo anche giovani e non ce ne dimenticavamo mai. Siamo cresciuti passo, passo.

Il Fronte di Anderson era una casa e una famiglia

La nostra vita, allora, era accanto a voi che vi eravate presi l’impegno di essere il nostro esempio, per molti addirittura la nostra famiglia. Perché tali vi sentivamo e ci sentivamo. Anche in questo siamo stati all’avanguardia perché, per volere o per necessità, la nostra è stata il primo esempio di famiglia allargata. Vivevamo insieme come fratelli o al limite cugini e se qualcuno di noi aveva bisogno tutti gli altri erano pronti a dargli una mano. Si andava a mangiare la pizza insieme, si andava a ballare negli stessi posti, ci si accompagnava in gruppo sotto casa per timore di quello che troppo spesso accadeva. E tu eri il fratello più
grande, quello che elargiva i consigli giusti, quello che rimproverava anche aspramente se ce n’era bisogno.

Anderson, un fratello maggiore più che un politico

Si sa, in tutte le famiglie possono esserci gli “scavezzacollo” ed era quello il momento in cui intervenivi, per far comprendere a chi di dovere che era inutile e controproducente correre rischi troppo grossi… Che bisognava sempre usare la testa e mai farsi prendere dall’istinto del momento. Ci hai fatto crescere senza che dovessimo pagare per gli errori che avremmo potuto compiere in perfetta buona fede. Grazie per quella mano sulla testa, grazie per non essere stato solo un uomo politico. Le nostre strade si sono divise alla fine degli anni Settanta. Non ci siamo più rivisti per quasi trenta lunghi anni, ci hanno divisi il lavoro, la famiglia. Diceva Arturo Bellissimo che con il matrimonio finiscono le rivoluzioni.

Una separazione lunga trent’anni

Eppure quando mi hai chiamato era come se, il giorno prima, avessi salito le scale di via Quattro Fontane per entrare nella tua stanza ed invece ero a via San Nicola da Tolentino dove tu eri alla Presidenza di Arpe e Federproprietà, le due associazioni , a livello romano e nazionale, che si occupavano dei problemi legati alla proprietà edilizia. Ho trovato lo stesso uomo di sempre, con la stessa capacità di restare per ore ed ore al suo posto di lavoro, la stessa volontà e la stessa passione. Mi hai fatto un regalo,l’ultimo grande regalo. La cena del giovedì, l’ultimo giovedi del mese. Ed in questo modo li ho ritrovati , ho ritrovato quei ragazzi invecchiati con i quali avevo condiviso tanti anni della mia vita, quelle stesse ragazze che ci aiutavano e proteggevano di nascosto nei momenti di pericolo.

“E per il tuo saluto ci hai riuniti tutti”

Ed è stato bello tornare indietro nel tempo perché dentro di noi vive sempre quel giovane che era simbolo della tessera della Giovane Italia e spera di avere ancora e sempre “una canzone da gettare al vento e una bandiera da innalzare al sole”. Grazie Massimo, perché se noi siamo qui, di nuovo tutti insieme, è per te”.