Marcello Veneziani: “Perché non celebro una festa rosso sangue”

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Lo scrittore Marcello Veneziani non celebra il 25 aprile per ben sette motivi. Lo racconta in un articolo su La Verità alla vigilia della festa della liberazione. Intanto, dice lo scrittore, non è una festa inclusiva e nazionale. “E’ sembre stata una festa delle bandiere rosse e dell’odio tra due italie”. Ed è proprio così: e più la enfatizzano irresponsabilmente e più diventa divisiva. Poi, “è una festa contro gli italiani del giorno prima, ovvero non considera che gli italiani fino allora erano stati in larga parte fascisti o comunque non antifascisti e dunque istiga alla doppiezza e all’ipocrisia”. Il terzo motivo è importante per chi ha una certa concezione del mondo e della vita. “Non rende onore al nemico ma nega dignità e memoria a tutti coloro che hanno dato la vita per la patria, solo per la patria, pur sapendo che si trattava di una guerra perduta”.

Veneziani: una festa usata per altri scopi

Poi, c’è la vexata quaestio dell’antifascismo: se il fascismo è morto, non può sopravvivergli il suo contrario. Per questo nelle celebrazioni dicono che il fascismo è vivo e vegeto. Ma soprattutto, osserva Veneziani, “quando una festa aumenta l’enfasi col passare degli anni anziché attenuarsi, come è legge naturale del tempo, allora regge sull’ipocrisia faziosa e viene usata per altri scopi. Ieri per colpire Berlusconi, oggi Salvini”. E lo abbiamo sperimentato sulla nostra pelle. Il 25 aprile, poi, è una festa esclusivamente celebrativa, a differenza delle altre ricorrenze. “Si pensi – dice Veneziani – al 4 novembre in cui si ricordano infamie e orrori della Grande Guerra. Invece nel 25 aprile è vietato ricordare le pagine sporche o sanguinarie che l’hanno accompagnata e distinguere tra chi combatteva per la libertà e chi voleva instaurare un’altra dittatura”.

Possibile che il 25 aprile sia l’unica festa rimasta in Italia?

Infine, chiosa lo scrittore, adesso si celebra sempre e solo il 25 aprile, unica festa civile in Italia. Così ” si riduce la storia millenaria di una patria, di una nazione, ai suoi ultimi tempi feroci e divisi. Troppo poco per l’Italia e per la sua antica civiltà”. Quello che Veneziani e tutta la destra si augurano, sarebbe finalmente una meoria condivisa, ma veramente. Veneziani cita la macelleria di piazzale Loreto, e bisogna ricordare che fu un’infamia che ci fa vergognare. Poi se è un eroe Slavo D’Acquisto, non lo fu per niente Bentivagna reo di un attentato terrorista a via Rasella, e che per questo ebbe persino una medaglia d’oro. Così come i sette fratelli Cervi, stracelebrati da tutti e meta di pellegrinaggi di scolaresche, mentre si omettono i sette fratelli Govoni, torturati e uccisi a guerra finita dai partigiani rossi ad Argelato.

Nella resistenza c’era chi voleva instaurare una dittatura stalinista

Veneziani cita moltissimi esempi, non trascurando di ricordare che “tra i partigiani c’era chi combatteva per la libertà e chi per instaurare la dittatura stalinista. Quando distingueremo i partigiani combattenti sia dai terroristi sanguinari che dai partigiani finti e postumi, che furono il triplo di quelli veri”. E ricordiamo anche i delitto della resistenza, come l’assassinio del filosofo Giovanni Gentile, dell’archeologo Pericle Ducati o del poeta cieco Carlo Borsani, e migliaia di altri. Ricordiamo, dice, che morirono più civili sotto i bombardamenti “alleati” che per le stragi naziste. E soprattutto “che ha mietuto molte più vittime il comunismo in tempo di pace che il nazismo in tempo di guerra, shoah inclusa”.

Deve diventare una festa davvero condivisa

Però, conclude amaramente lo scrittore, la verità è che “il proposito di unire gli italiani non rientrò mai nelle celebrazioni in rosso sangue del 25 aprile. Fu sempre una festa contro: contro quei morti e i loro veri o presunti eredi. Chi ha provato a unirsi alla Festa da altri versanti è stato insultato e respinto in malo modo. Non vanno dimenticati gli italiani che restarono fascisti fino alla fine, combatterono, morirono senza macchiarsi di alcuna ferocia, pagarono di persona la loro lealtà, la loro fedeltà a un’idea, a uno Stato e a una Nazione. Era coraggioso opporsi al regime fascista, non giurargli fedeltà, ma fu carognesco sputare sul suo cadavere e oltraggiarlo. E infame è farlo ancora oggi, 74 anni dopo”. Insomma distinguiamo i veri libertari dagli “antifascisti del 25 aprile da corteo postumo e permanente”.