Muore a Roma dopo la trasfusione con il sangue destinato alla vicina di letto: 1,7 milioni agli eredi

Un errore medico che ha cambiato per sempre la vita di una famiglia. Una trasfusione sbagliata, un ritardo diagnostico e infine la morte di una donna di 77 anni: la Corte d’Appello di Roma ha condannato la Asl Roma 5 a versare oltre 1,7 milioni di euro tra risarcimento e interessi agli eredi della paziente, deceduta dopo un ricovero all’ospedale Parodi Delfino di Colleferro.
Un caso che mette nero su bianco le conseguenze di una catena di errori sanitari: prima la trasfusione di un sangue incompatibile, poi la diagnosi tardiva di una malattia che, se individuata in tempo, poteva essere gestita, salvando la donna.

L’errore in corsia
Era la primavera del 2011 quando la donna era stata ricoverata a Colleferro per una febbre persistente e problemi neurologici. Il 26 maggio è però successo l’irreparabile: un infermiere le ha somministrato il sangue destinato alla sua vicina di letto. Che, oltretutto, era del gruppo B+, mentre la signora aveva il gruppo A Rh+, incompatibile con quello della sua vicina.
La storia della trasfusione, poi, come racconta il legale della famiglia della donna, l’avvocato Renato Mattarelli, è gravissima e assurda. Una trasfusione destinata alla paziente del letto accanto e durata circa 8 minuti. Dell’errore si accorge la figlia, vedendo il colore della sacca, che invece di essere trasparente è rossa. La donna, infatti, non avrebbe dovuto, in quel momento, ricevere una trasfusione di sangue, destinata alla sua vicina di letto, che aveva peraltro un gruppo sanguigno diverso. Un errore che non fu neanche annotato in cartella clinica, nonostante fosse un passaggio obbligatorio. La paziente riuscì a sopravvivere all’incompatibilità, ma da quel momento iniziò un calvario che si concluse nel peggiore dei modi.
Diagnosi arrivata troppo tardi
La diagnosi era arrivata solo dopo 27 giorni di ricovero: sindrome di Guillain-Barré, una malattia autoimmune che colpisce il sistema nervoso. La donna fu trasferita al Policlinico Umberto I di Roma, ma i medici non furono informati della trasfusione sbagliata. La diagnosi tardiva e la mancanza di informazioni decisive portarono a un aggravamento irreversibile: dopo altri 30 giorni di degenza, la donna morì.
La battaglia legale e la sentenza
L’incidente era emerso solo grazie al lavoro del legale della famiglia, l’avvocato Renato Mattarelli, esperto in casi di danni da sangue. Secondo l’avvocato, non solo l’errore trasfusionale fu fatale, ma anche la gestione complessiva del ricovero: “Non furono adottate terapie di contenimento, la diagnosi fu ritardata di quasi un mese e i medici del Policlinico furono tenuti all’oscuro di ciò che era accaduto”.
La Corte d’Appello ha confermato la condanna già inflitta dal Tribunale di Velletri nel 2020, con una sentenza ora definitiva: 1,6 milioni di euro di risarcimento, più 100 mila euro di interessi legali per i figli e i nipoti della vittima.