Tacete! Nel Lazio mancano ben 3000 infermieri

Infermieri Fb

Grazie per gli applausi, per la gratitudine manifestata nei confronti degli infermieri e di tutti gli operatori sanitari, ma non basta. Non vorremmo che come al solito, passata l’emergenza, tutto torni come prima, anzi, peggio di prima, con i conti economici da saldare e le categorie oggi osannate rispedite nell’oblio.

Nel frattempo le misure messe in atto con il decreto “salva Italia” non sembrano esaltanti. Come dice Giorgia Meloni, solo un cerotto: utilizzo di medici e infermieri militari, autorizzazione alle assunzioni (a tempo determinato) di personale sanitario, incremento dei fondi contrattuali per il lavoro straordinario e bonus “baby sitter” elevato a 1000 euro (anziché 600) per medici e infermieri che prestano servizio. Poca roba davvero.

Infermieri in pericolo

Intanto si continua a lavorare senza il rispetto delle condizioni di sicurezza. E oltre al danno (gli operatori sanitari sono tra i più soggetti al contagio) anche la beffa di sentirsi dire dal dott. D’Ancona dell’ISS che si dovrà verificare se i contagi sono avvenuti in servizio o in situazioni diverse!
Gli infermieri sono una categoria professionale fondamentale nell’ambito sanitario. Vengono quotidianamente ringraziati per la dedizione e il sacrificio con cui si stanno impegnando in questa emergenza che non ha precedenti, ma il riconoscimento economico è assolutamente inadeguato rispetto alla competenze e alla responsabilità richieste.

Un infermiere del settore pubblico, senza indennità e senza lavoro straordinario non arriva a 1500 euro al mese. Tre anni di università, specializzazioni e competenze avanzate di ogni genere per uno stipendio più o meno uguale a quello di un lavoro esecutivo. Non è possibile. Poi dopo aver rischiato la pelle in ospedale durante la pandemia ti “gratificano” con misure economiche risibili.

Stiamo peggio che al nord

Nel Lazio la situazione degli infermieri è peggiore rispetto al nord Italia. Gli effetti del piano di rientro e del blocco delle assunzioni hanno determinato una riduzione degli stipendi e un peggioramento delle condizioni lavorative. Il blocco dei concorso ha generato una situazione vergognosa di precariato che ha avvantaggiato le cooperative. Un infermiere che lavora in cooperativa guadagna in molti casi meno di una colf, ma lavora fianco a fianco con colleghi strutturati che hanno tutele e stipendi maggiori, svolgendo lo stesso identico lavoro.
La carenza di infermieri nel Lazio è di circa 3000 unità. Un numero altissimo che viene compensato da turni massacranti e lavoro in sottorganico con un abbassamento notevole della qualità dell’assistenza e della sicurezza. Solo ora si vede qualche spiraglio di luce con i concorsi che si stanno svolgendo, ma è ancora troppo poco.

A questo si aggiunge un altro problema che nel Lazio è particolarmente grave, quello del demansionamento. Non essendo presenti in numero adeguato gli operatori di supporto negli ospedali della nostra regione, gli infermieri sono tenuti a svolgere attività che non competono loro, livellando le prestazioni verso il basso. In questo modo peggiora la qualità dell’assistenza con il rischio di errori e di trascurare le competenze più elevate proprie del profilo professionale dell’infermiere.
Anche sul fronte della sicurezza non ci siamo. Si lavora in condizioni pessime. Non vengono rispettati gli standard previsti dalle leggi, sia per quanto riguarda i requisiti organizzativi, sia per quanto riguarda quelli strutturali. Per non parlare dei dispositivi di protezione e degli ausili. Ne abbiamo avuto una dimostrazione pratica con la beffa delle mascherine per l’emergenza virus che sembrano i panni per raccogliere la polvere dal pavimento.

Da 15 anni si taglia e basta

Sono gli effetti della politica sanitaria degli ultimi 15 anni. Occorre invertire rotta. L’emergenza del coronavirus ci sta insegnando che quando si chiudono gli ospedali, si tagliano i posti letto e si mortificano gli operatori sanitari, non si è in grado di garantire un servizio sanitario regionale di buon livello in condizioni ordinarie, figuriamoci in un’emergenza. Se le cose andranno bene, come tutti speriamo, non sarà certo merito degli amministratori della sanità regionale, ma solo degli operatori sanitari che senza riserve e con dedizione totale si stanno impegnando sul campo senza sosta giorno e notte.
Stipendi più alti, stop al precariato, aumento della sicurezza, assunzione di personale sanitario (in primis medici, infermieri e OSS) in tutti gli ospedali della Regione. E rivedere completamente la rete ospedaliera troppo frettolosamente smantellata. Questo bisogna fare per rilanciare il nostro servizio sanitario.

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Commenti

  • Ioana iuliana Gansca scrive:

    Ma come mancano 3000 infermieri? Io lavoro alla ASL di Latina e dicono che chi sta per arrivare a 36 mesi verrà lasciato fuori.