Nessuno parla più di Andrea Rocchelli, il giornalista ucciso dall’artiglieria ucraina nel Donbass

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“Non c’erano le prove, come stabilito nel processo d’appello, che Rocchelli sia stato ucciso da Markiv, perché non c’erano le prove per dimostrare che Markiv si trovasse in quel luogo in quel momento. Il processo, lo abbiamo sempre detto, non sarebbe neanche dovuto iniziare”. Così all’Adnkronos Silvja Manzi, che da segretaria dei Radicali Italiani, oggi nella Direzione nazionale, ha seguito da vicino il processo sulla morte del fotoreporter pavese Andrea Rocchelli, ucciso, insieme al dissidente russo Andrej Mironov, il 24 maggio del 2014 nel Donbass, in Ucraina. Dopo l’occupazione della regione da parte dei separatisti filorussi. Per l’omicidio di Rocchelli, che aveva 30 anni, era stato condannato in primo grado a 24 anni di carcere Vitaly Markiv, cittadino italo-ucraino ed ex soldato della Guardia nazionale di Kiev.

Nessun colpevole per la morte di Rocchelli

Condanna ribaltata in appello con l’assoluzione “per non aver commesso il fatto”, confermata nel dicembre scorso dalla Cassazione che ha dichiarato inammissibili i ricorsi della procura generale di Milano. “Il processo di primo grado si è svolto a Pavia – spiega Manzi -, città dove vive la famiglia di Rocchelli, dunque la componente emotiva era inevitabilmente forte. Non dico che abbia influito sulla decisione dei giudici di primo grado, ma difficilmente poteva lasciare indifferenti. Anche perché la famiglia di Rocchelli è abbastanza nota e il caso ha giustamente sollevato molta empatia”.

Quello che non torna nel processo

“Ho seguito il processo dall’inizio perché conoscevo Mironov – osserva Manzi -, e quando ho letto dell’arresto di Markiv ho deciso di occuparmi del caso. Il processo di primo grado mi è parso subito stonato perché si trattava di attribuire la responsabilità a un individuo in uno scenario di guerra. Fra l’altro all’inizio l’accusa era che Markiv avesse sparato e ucciso, poi è cambiata in concorso in omicidio. E Markiv accusato di aver dato le informazioni sulla presenza dei giornalisti, colpiti in quanto tali. Ma le cose non tornavano. Markiv, fra l’altro, avendo vissuto in Italia, parlava italiano e quindi era un contatto per i giornalisti italiani. Con alcuni di loro aveva un rapporto molto stretto e dunque le sue responsabilità già stonavano”.

Ritrovato un video nel cellulare di Rocchelli

“Sulla morte di Rocchelli, dunque, giustizia non è ancora fatta – aggiunge Manzi -. Anche perché, come ho sostenuto fin dall’inizio, le indagini svolte a senso unico, esclusivamente sulla parte ucraina, non hanno mai considerato una eventuale responsabilità dei separatisti russi che si trovavano lì. E purtroppo Rocchelli, Mironov e il fotografo francese che si trovava con loro ed è rimasto ferito, si sono trovati su una linea dove le due fazioni combattevano. Nel video, atroce, ritrovato sul cellulare di Rocchelli o del giornalista francese, sono riportati gli ultimi istanti della loro vita. E si sente Miranov dire ‘siamo in mezzo ad un fuoco incrociato’. Come minimo la procura doveva provare a indagare anche sui separatisti russi.