Ostia, litoranea e parcheggi spostati nell’entroterra per il Parco sul Mare: nuovo ‘No’ degli ambientalisti
Ostia, il cosiddetto “Parco del Mare” torna al centro del dibattito romano con una doppia accelerazione: l’iter amministrativo promosso dal Campidoglio per arretrare l’intera litoranea e ricollocare i parcheggi verso l’entroterra, e il nuovo “no” delle associazioni ambientaliste, unite da una richiesta chiara: zero consumo di suolo e tutela dei giardini storici. Sullo sfondo, 24 milioni di euro del FESR 2021–2027 e la volontà politica di ridisegnare il waterfront tra il Porto Turistico e piazzale Cristoforo Colombo. Una trasformazione profonda, che promette un lungomare più verde e pedonale, ma che apre interrogativi pesanti su tempi, metodo e impatti ambientali.
Il quadro politico si ricompone: dialogo sì, ma dopo la corsa iniziale
Il confronto istituzionale si sarebbe rimesso in moto con l’incontro tra l’assessore capitolino all’Urbanistica Maurizio Veloccia e i consiglieri municipali Andrea Bozzi (Azione), Flavia De Gregorio (Azione), Alessandro Ieva e Paolo Ferrara (M5S), alla presenza di esponenti PD. Un clima definito “costruttivo”, da tutte la parti, con l’impegno a una assemblea pubblica entro gennaio 2026, a valle della Conferenza dei Servizi.
La politica, insomma, sceglie la strada del coinvolgimento. Ma lo fa dopo una fase spinta sull’acceleratore, che ha visto un bando-lampo per la progettazione e solo successivamente la convocazione dei soggetti chiamati a rilasciare i pareri ambientali e paesaggistici. Le reciproche istanze sono contenute in due comunicati pubblicati sul sito internet della testata www.Ostia.tv.it.
La mossa del Campidoglio e i dubbi di metodo
Il Campidoglio ha imbastito il percorso: chiusura della gara per il PFTE e apertura della Conferenza dei Servizi per il “via libera” tecnico-amministrativo, inclusa una maxi variante urbanistica. Una sequenza che per comitati e opposizioni suona come “carri davanti ai buoi”: prima si corre, poi si discute. La giustificazione politica è nota — scadenze stringenti e obiettivi di riqualificazione — ma la percezione sul territorio è più sfumata: senza una Valutazione di Impatto Ambientale pienamente definita e parametri tecnici verificabili sul bilancio di suolo, il rischio è di chiudere il dibattito prima di averlo realmente aperto.
La rivoluzione sul waterfront: addio auto a ridosso delle onde
La visione è netta: via le carreggiate sul mare, addio ai parcheggi fronte spiaggia, spazio a un parco lineare pedonale-ciclabile cucito con quattro “piazze-parco”, aree sportive diffuse e percorsi botanici. La viabilità viene arretrata, riorganizzata con sensi unici e un nuovo ponte carrabile sul Canale dei Pescatori. È la promessa di una costa più accessibile a piedi e in bici, meno rumore e gas di scarico, più continuità tra pineta e battigia. Una rivoluzione urbana che, però, dovrà misurarsi con la fragilità di un litorale colpito da mareggiate sempre più frequenti e da un’erosione che non fa sconti.
Il nuovo “no” delle associazioni: “Consumo di suolo zero”
WWF Litorale Laziale, Mare Libero, Italia Nostra e Legambiente firmano un documento puntuale alla Conferenza dei Servizi. Il principio è inderogabile: consumo di suolo zero. Non un maquillage urbano, ma rigenerazione vera, con de-pavimentazioni misurabili, materiali drenanti e rispetto dei Criteri Ambientali Minimi. Le sigle contestano la mancanza, nel PFTE, di un bilancio trasparente tra superfici impermeabili rimosse e nuove coperture aggiunte. Senza questi dati, dicono, non si può capire se il “verde” promesso sia sostanza o solo narrazione. E senza sostanza, la costa resta vulnerabile ad allagamenti e surriscaldamento.
I numeri che preoccupano: dalla costa di Ostia ai dati ISPRA
Le associazioni richiamano il Rapporto ISPRA 2025: il Lazio ha perso nel 2024 altri 785 ettari di suolo naturale; nei primi 300 metri dalla costa a Ostia il consumo di suolo arriva al 22,9%, oltre tre volte la media nazionale. Dati che non sono un orpello statistico: più asfalto e meno vegetazione significano minore capacità di assorbire pioggia, maggior rischio idraulico, isole di calore e suolo che non respira. In altre parole: prima di spostare strade e parcheggi, occorre dimostrare che l’impronta ecologica complessiva scende davvero, non che si trasla altrove.
I “tesori verdi” da salvare: le storiche Filliree affacciate sul mare
Nel mirino della tutela ci sono i giardini storici di Phillyrea angustifolia tra via dell’Aquilone, via Benino, via Geraldini e lungomare Lutazio Catulo: circa 8.000 mq di nuclei arbustivi autoctoni, ultraottantenni, raro lascito della macchia costiera sopravvissuta all’urbanizzazione. Per gli ambientalisti quelle filliree sono il “cuore verde” da cui ripartire: ombra, assorbimento idrico, continuità paesaggistica, biodiversità. Tradotto: se il Parco del Mare vuole essere un modello, quegli habitat non si spostano e non si compensano; si proteggono in situ e si mettono a sistema come cardine del progetto.
Nodi pratici: sosta, viabilità e alternative meno impattanti
Il consigliere M5S Alessandro Ieva ha chiesto di riconsiderare il parcheggio da 50 posti nell’area retrodunale e la nuova viabilità tra via Benino e via dei Sandolini, ritenute impattanti su habitat e suolo. Proposte sul tavolo: ricollocare la sosta in aree già urbanizzate, valutare via dell’Aquilone come tracciato alternativo meno costoso e invasivo, privilegiare stalli permeabili e alberature. È la partita più concreta per i residenti: dove lasceranno l’auto, come entreranno e usciranno dai quartieri, quanto tempo impiegheranno? La qualità del progetto si misurerà anche da queste risposte.
Partecipazione e trasparenza: l’assemblea pubblica come spartiacque
Il confronto promesso entro gennaio 2026 potrà diventare lo spartiacque tra un progetto “calato dall’alto” e un piano condiviso. La richiesta dei cittadini è semplice: mappe chiare, dati verificabili, cronoprogramma dei cantieri, gestione dei disagi temporanei, garanzie su accessibilità per disabili e famiglie, sicurezza idraulica e costiera. Non bastano rendering e slogan: servono schede tecniche pubbliche sul bilancio di suolo, studi idrogeologici comprensibili e una verifica terza sulla coerenza con CAM e obiettivi climatici. Solo così il Parco del Mare può diventare patrimonio comune.
Utilità pubblica, davvero: come evitare che la “cura” peggiori la “malattia”
Arretrare la litoranea e liberare il fronte mare può migliorare vivibilità, turismo lento e valore degli spazi pubblici. Ma l’interesse collettivo si misura sull’insieme: più ombra e alberi, meno asfalto, drenaggi efficaci, dune rinforzate, accessi al mare gratuiti e inclusivi, percorsi ciclabili sicuri, sosta organizzata e permeabile nell’entroterra, salvaguardia dei giardini storici. È qui che passa la linea tra una rigenerazione esemplare e una trasformazione cosmetica. Il “no” degli ambientalisti non è un freno ideologico: è un invito a dimostrare, con numeri e scelte di dettaglio, che il mare di Ostia potrà respirare di più — non di meno.