Ostia, “Sei il cancro del mio utero”: anni di botte e maltrattamenti al figlio, condannata madre orco

violenza su minori

Lo svegliava nel cuore della notte per fargli bere intrugli “magici”, convinta di poterlo liberare dagli alieni o dal “male”. Quando il piccolo cercava di ribattere, arrivavano le botte, quelle vere. Dietro la porta chiusa di una casa elegante nel X Municipio di Roma, si consumava un inferno familiare durato più di vent’anni. Cristina, oggi 58 anni, è stata condannata a quattro anni di carcere per maltrattamenti nei confronti del figlio Giovanni, che da bambino ha conosciuto la paura prima ancora dell’amore.

La sentenza emessa nei giorni scorsi dal Tribunale di Roma mette fine a un incubo iniziato nel 1998 e andato avanti fino al 2019. 21 anni di umiliazioni, privazioni e violenze in una casa dove la follia si travestiva da normalità.

Infanzia negata tra le mura di casa

“Mi chiamava cancro del mio uteromongoloideaborto mancato“, ha raccontato in aula davanti ai giudici Giovanni, che adesso ha 33 anni ed è difeso dall’avvocato Pierluigi Nazzaro. Parole che ancora oggi gli bruciano addosso. Quando qualcuno tentava di difenderlo, che fossero i nonni o gli zii, la madre reagiva con furia cieca. Le botte erano così violente che in due occasioni il ragazzo è finito al pronto soccorso dell’ospedale Grassi di Ostia, con il volto tumefatto e coperto di sangue. Ma lei mentiva ai medici, sostenendo che il figlio era stato aggredito da coetanei, che gli avevano rubato la bicicletta e lo avevano picchiato.

Le violenze non erano solo a suon di schiaffi. Cristina lo affamava, chiudendo il frigorifero con un lucchetto di cui solo lei conosceva la combinazione, perché lo riteneva “grasso”. E il bimbo, per mangiare, si rifugiava dalla vicina, l’unica a nutrire sospetti su quella madre che, fuori casa, cercava di apparire amorevole e gentile con il suo bambino.

Poi gli tingeva i capelli di biondo, costringendolo a somigliarle. Non tollerava che avesse preso gli stessi colori del padre. Eppure dava al bambino, poi adolescente, la ragione di tutti i suoi problemi, a partire da quelli alla schiena avuti dopo il parto. E, come “risarcimento”, prendeva i soldi che il figlio riceveva come regali a Natale o per i compleanni. E lo chiudeva nella sua stanza o in bagno anche per 12 ore. E lui si sfogava a scuola, con atteggiamenti a volte troppo esuberanti, che sfociavano anche nell’aggressività.

La battaglia del padre

Ma dietro quell’apparente aggressività, raccontano gli insegnanti, si nascondeva un ragazzo intelligente ma distrutto dentro, schiacciato da una madre che lo vedeva come la causa di tutti i suoi mali. Solo il padre, con cui la donna aveva avuto una relazione durata pochi mesi, ha avuto la forza di rompere il “muro” che si era costruito attorno al ragazzo. Dopo anni di cause civili e ricorsi, è riuscito a ottenere l’affidamento esclusivo in Cassazione, mettendo fine a un incubo durato metà della vita del figlio. E ora Giovanni è riuscito a portare sua madre in Tribunale, seguito da anni dall’avvocato Pierluigi Nazzaro. E finalmente, grazie al legale, ha avuto giustizia, anche se il percorso per trovare la pace sarà ancora lungo.